“Genetliaco, latore, logomachia, ferace, monade, perspicuo”. Nel lungo discorso, naturalmente politico, al Senato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha piazzato qui e lì piccole pepite semantiche. In aula, in cui non sono mancati insulti e urla, il premier si è concesso anche una inaspettata e preziosa lezione di italiano.

Parole colte, dall’etimologia non complessa per studi superiori, ma certamente lontanissime dal vocabolario a volte molto povero della nostra politica. Il premier ha usato la prima parola subito per fare gli auguri di compleanno (di cui genetliaco è sinonimo) alla senatrice a vita Liliana Segre, poi ha proseguito il suo intervento promettendo di farsi latore ovvero portatore di un progetto, a cui la sopravvissuta all’Olocausto tiene particolarmente, ovvero l’osservatorio contro l’hate speech. Ed è così che piano piano l’avvocato del popolo è salito, come dire, in cattedra. Nel discorso è spuntata la logomachia -come sinonimo di disputa verbale – e la monade, concetto del filosofo tedesco Leibniz, per ribadire la necessità di aprirsi e collaborare.

Un sussulto di stupore è arrivato quando poi ha pronunciato ferace che, stando al sito della Treccani avrebbe una sola occorrenza, e che significa fertile o fecondo, per parlare di Africa e dei piani di investimento da programmare in Europa. Quando un mormorio è salito su dai banchi – perché si sottolineava la differenza tra i vocaboli nemici e avversari – il professore ha detto: “Non abbiate paura delle parole“.

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