E me ne pento (anche se sarebbe stato più cool scrivere il contrario). Mannaggia, lui sì che non sarebbe stato un marito inutile…! Conosco un po’ la materia. Petroliere e filantropo, tra i 10 paperoni del pianeta. E’ stato lui a reggere le file del partito repubblicano. Sono stata da lui ad Aspen, dormivo nello chalet per gli ospiti. E’ venuto a trovarmi un paio di volte a Milano nella mia casetta di ringhiera (dovrebbe ricordarselo anche Peter Gomez che abitava al secondo piano), a Cala di Volpe ormeggiò il suo panfilo di una cinquantina di metri davanti la villa di Brigitta Notz, a Capri, ha alzato il tiro ed è sbarcato con uno yacht di 80 metri, aveva anche la spa e il parrucchiere a bordo. Lo portai da “Anema e Core” e Guido Lembo gli fece ballare la tarantella.

Invece non mi piaceva la sua risata. Assomigliava a un grande orsacchiotto. Certo bastava non farlo ridere troppo, diceva Alessandro di Carpegna, gestore di patrimoni, che tanto avrebbe adorato gestire il mio tesoretto se fosse stato rimpinguato con qualche milionaria di euro. Al ristorante, quando gli portavano il conto, contava come un ragioniere gli zeri, siccome c’erano ancora le lire, voleva fare bene i suoi conticini.

Si chiama David Koch che Dio l’abbia in gloria. Come lo ha tenuto in gloria ( secondo il calvinista pensiero) in vita. Lastricata da 45 miliardi di dollari. In confronto anche Trump è un poveraccio. Ne sono talmente tanti che messi uno sull’altro non entrerebbero neanche nel caveau di una banca. E’ questo il patrimonio personale che consolerà l’inconsolabile vedova. Certo da dividere con tre figli, (di età compresa dai 16 ai 22 anni). Ma in questo caso non varrebbe il detto napoletano: spartisci ricchezza e diventa povertà. Anche se metà dei soldi dovessero andare in beneficenza. Lo fanno molto tycoon americani in cambio ricevono in vita notevoli agevolazioni fiscali…

Ma lasciamo da parte queste considerazioni da contabile e vi racconto come ci siamo conosciuti. Anni 90’, New York era il top, e anche lui abitava al top floor di un grattacielo tutto specchi di United Nation Plaza che si affacciava sul Palazzo delle Nazioni Unite. Insomma era proprio un bel vedere, anche di socialite newyorkesi che sembravano uscite da una puntata di Sex and the city e che gli svolazzano intorno. Era già tra i bachelor più ambiti d’America. Io, stagista al Corriere della Sera, mi sentivo un po’ Cenerentola. Ma David non deve aver pensato così. Il giorno dopo mi arrivava una corbeille di fiori, un giardino in miniatura, che non riusciva a passare nemmeno dalla porta di casa.

Iniziava il suo corteggiamento vecchio stile. Anti-Trump per intenderci. Non ha mai usato il suo potere per sedurre. Tanto si sapeva già che era il più grosso di tutti. Il suo conto in banca, intendo. Quando venne a trovarmi in Italia, gli presentai Giancarlo Signorini come un cugino. Pareva brutto che gli dicessi che era il mio fidanzato. Ad Aspen gli presentai un altro, un certo Petrus, sì come l’amaro, argentino che viveva a Lima, faceva export di caffè. Ho poi sospettato che nei barattoli nascondesse “altro”. Gli feci conoscere anche il marito numero uno, ma a questo punto i giochi erano fatti. Anche lui si era sposato con la bella e paziente Julia, una Penelope dei nostri giorni. Ad ogni Natale mi mandava un biglietto d’auguri che di fatto era un tir di cartoncini dove posava l’intera famigliola, biondissima, azzurrissima, waspissima ( acronimo che sta per white, anglosaxon, protestant).

Nel frattempo si era trasferito nello splendido appartamento che fu di Jacqueline Kennedy. Dire che David sia nato con la camicia è un eufemismo: sopravvisse a un incidente all’aeroporto di Los Angeles. Un aereo di linea atterrò su un piccolo jet privato. Sopravvisse a un primo tumore alla prostata una ventina d’anni fa. Gli avevano dato cinque anni di vita. Fino al giorno più brutto, il male lo aveva aggredito di nuovo e diede le dimissioni da ogni incarico pubblico e privato. Gli rimanevano pochi mesi.
L’ultima estate: comodamente allongè su un mega yacht mi fece una sorpresa. I nostri figli hanno fatto amicizia buttandosi giù da uno scivolo acquatico di 8 metri, gadget galleggianti di ogni dimensione, jet ski sfreccianti, sembrava un’acqua park itinerante, mancavano solo i delfini che facevano le capriole, se avesse potuto le avrebbe di sicuro ordinati. E gran finale con caccia a tesoro a bordo.

Sulla rotta Positano-Capri mi chiese a chi appartenesse l’isolotto di Li Galli. Gli proposi una sosta e non invitati ci presentammo. Gli divertiva l’idea di un’escursione fuori programma. Incantati davanti a tanta bellezza, lasciai un biglietto di ringraziamento all’anfitrione e imprenditore sorrentino Giovanni Russo: “Ci siamo imbucati, ma ne valeva la pena…”. Poi al tramonto nuotammo nella grotta azzurra. La sera da “Anema ‘e Core” mi cantò a squarciagola O vita, O vita mia…
Ma le cose sono andate così…

Instagram januaria_piromallo

Articolo Precedente

Messina, stretti stretti nella corriera sullo stretto. Attraversarlo è un inferno quotidiano

next
Articolo Successivo

Frank (Gehry), la bum bum room, la superbarca ed io

next