Evelyn Hernández è una giovane salvadoregna che ha riacquistato la libertà dopo aver scontato 33 mesi di carcere in seguito a una condanna a 40 anni per omicidio aggravato. La sua colpa? Avere avuto un aborto spontaneo dopo essere rimasta incinta per una violenza sessuale di gruppo.

La sua assoluzione è arrivata grazie ad un secondo processo e costituisce un importante precedente per le donne (26 in tutto) che in El Salvador, uno Stato che dal 1998 ha una delle leggi più repressive, sono detenute anche per aver abortito spontaneamente. L’aborto è vietato senza eccezioni e alle donne non è permesso ricorrervi nemmeno in caso di pericolo di vita, violenza sessuale o malformazione del feto. Non solo, su di loro grava il sospetto di aver comunque causato l’aborto e anche in caso di interruzione di gravidanza in seguito a cause naturali è altissimo il rischio di finire in carcere per decenni.

Nel 2018 un’altra salvadoregna, Verónica Figueroa Marroquín, è stata scarcerata dopo aver trascorso 15 anni in carcere per un aborto spontaneo in seguito a una violenza sessuale. Anche se il codice penale prevede per l’aborto una pena che va dai due agli otto anni, i giudici di El Salvador, pervasi da una furia misogina, infliggono fino a 50 anni di carcere applicando la legge per l’omicidio aggravato.

Quella che si consuma in molti Stati del mondo è un’inquisizione contro le donne che scontano la pena di vita, ovvero l’obbligo di avere figli a prescindere dalla loro volontà di essere madri. La maternità viene annichilita a evento meramente biologico e le donne ridotte a uteri. Se si nega la maternità come relazione tra la donna e il nascituro che non può prescindere dalla scelta di accogliere una vita, si lascia spazio all’odio contro il potere procreativo delle donne rendendo possibili mostruosità come in El Salvador, che condanna le donne anche se è il corpo che cede e lascia andare il feto.

Se c’è chi pensa che siano animati da disumanità gli Stati che incarcerano le donne per aver abortito, ricordo che nel 2011 il leghista Lorenzo Fontana firmò, davanti a una chiesa a Desenzano, una proposta di legge per abrogare la 194 e introdurre il reato di aborto con pene da 8 a 12 anni, da infliggere a donne e medici. La Lega, che si è già distinta con proposte di legge come il ddl Pillon per azzerare i diritti delle donne, accarezza fantasie politiche con 50 sfumature di verde e potrebbe tornare all’attacco della 194 se ne avrà la possibilità, cercando di eliminare una legge che ha permesso alle donne di scegliere la maternità e di avere assistenza medica invece di ricorrere ai cucchiai d’oro o alle mammane.

Il braccio di ferro sui corpi delle donne è una lotta per il potere, non per la vita, e avviene anche ora in ogni parte del mondo. Negli Stati Uniti, la Louisiana ha recentemente approvato una legge fortemente restrittiva dell’aborto, dopo che un gruppo di Stati, tra cui Kentucky e Mississippi, hanno varato leggi analoghe vietando l’aborto oltre la sesta settimana di gravidanza. Il divieto è allargato anche a gravidanze in seguito a stupro o incesto. Si tratta di proposte di legge che saranno bocciate grazie alla sentenza “Roe vs. Wade”, che nel 1973 legalizzò l’aborto negli Stati Uniti. L’obiettivo degli ultraconservatori di destra è arrivare alla Corte Suprema per mettere in discussione la legge federale avvantaggiandosi della composizione attuale della Corte: cinque giudici conservatori su nove. Per avere un’idea della possibilità per le donne di poter accedere all’interruzione volontaria di gravidanza nel mondo, si può consultare il rapporto del Guttmacher Institute.

Tra violenze istituzionali contro le donne e attiviste che si battono per il riconoscimento del diritto a non morire di aborto, continua la lotta in diversi Stati del mondo. Le donne vogliono restare vive dopo un aborto e non vogliono finire in carcere per aver detto no alla maternità. Ci sono passi avanti: come in Irlanda, che vietava l’aborto persino nella propria Costituzione ma nella quale ora è stata recentemente legalizzata l’interruzione volontaria di gravidanza, in caso di “pericolo di vita”, di “grave rischio per la salute” della donna incinta o di anomalie fetali che possono portare alla morte in utero.

Qua tra i nostri confini dobbiamo ancora lottare contro i tentativi di svuotare e rendere inapplicabile la legge 194, che a causa dell’obiezione di coscienza – fino al 90% in alcune regioni italiane – spinge molte donne ad andare all’estero per sottoporsi ad Ivg o a esporsi al rischio di ricorrere all’aborto clandestino.

@nadiesdaa

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