Sono state individuate, interrogate, arrestate e condotte nella nota prigione di Qarchak, situata nel deserto a est di Teheran, le sei donne attiviste che si erano ‘travestite’ da uomo per poter entrare nello stadio Azadi della capitale iraniana nell’aprile 2018. Fra di loro ci sono l’attivista per i diritti umani Zahra Khoshnavaz, che si batte proprio per l’abolizione di questo divieto, e la fotogiornalista Forough Alaei. Human Rights Watch ha chiesto oggi al governo iraniano di rilasciarle. L’Iran ad oggi è l’unico Paese al mondo che vieta l’ingresso delle donne negli stadi sportivi. Malgrado a volte qualcuna venga fatta entrare, come accaduto lo scorso anno il 20 giugno durante seconda partita per il ‘Team Melli’ ai Mondiali Fifa di Russia 2018 (partita vista sul maxischermo), la situazione a me pare tale e quale a quella di sempre.

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Qualche tempo fa in una lettera aperta alla Fifa ben diciotto illustri e note attiviste iraniane, tra le quali il premio Nobel Shirin Ebadi, avevano chiesto di intervenire sulla vicenda dello stadio. Nella lettera chiedevano proprio alla Fifa di rispettare i suoi principi, e ritenere l’Iran responsabile della violazione dell’articolo 4 in cui si afferma che la discriminazione di qualsiasi tipo “è severamente vietata e punibile con la sospensione o l’espulsione”. Ci sono molti Paesi a maggioranza musulmana nel mondo, si legge nella lettera in cui la religione è un pilastro centrale e determinante della vita, che però non bandisce le donne dagli stadi pubblici.

Oltre alle donne attiviste che sfidano il divieto nascondendosi o travestendosi, i sostenitori dei diritti delle donne di @OpenStadiums e #NoBanForWomen hanno scritto per anni alla Fifa e alla Confederazione asiatica di calcio, con prove delle discriminazioni da parte della Repubblica Islamica dell’Iran, per chiedere alle Federazioni di rispettare le proprie regole.

Lo scorso mese anche Gianni Infantino, presidente della Fifa, ha chiesto all’Iran di fornire rassicurazioni alle donne, sul fatto che saranno ammesse ad assistere alle gare valide per le qualificazioni della Coppa del Mondo 2022. Una richiesta giunta dopo aver espresso disappunto per il fatto che il Paese ha rinnegato l’impegno di aprire gli stadi anche alle spettatrici. In una lettera indirizzata al Presidente della federazione di calcio iraniana Mehdi Taj, Infantino ha scritto: “Sono stato in grado di assistere a progressi reali e tangibili in merito alla partecipazione delle donne nel calcio. Il fatto che questi importanti primi passi siano stati fatti – ha proseguito Infantino – rende ancora più deludente il fatto che non sia stato possibile mantenere lo slancio positivo e continuare con progressi simili”. Poi ha sottolineato quanto accaduto in un’amichevole dello scorso 6 giugno tra Iran e Siria quando “i cancelli erano chiusi alle spettatrici e quando, sembrerebbe, un certo numero di donne che cercavano di partecipare alla partita sono state trattenute dalle forze dell’ordine per un certo numero di ore”.

Niente di nuovo per chi conosce l’Iran. Ancora è vivo il ricordo del caso giudiziario relativo alla cittadina di doppia nazionalità la anglo iraniana Ghoncheh Gavami che venne arrestata davanti allo stadio Azadi nel 2014 perché voleva assistere alla partita di pallavolo tra Iran-Italia. Venne condannata ad un anno di reclusione di cui molti mesi passati in isolamento e con l’obbligo di non lasciare il paese per i successivi due anni. Del suo caso ne trattò anche il regista Jafar Panahi, vincitore dell’Orso d’oro nel suo bellissimo film Taxi Teheran del 2015.

Qualche anno fa intervistai l’ex vicepresidente iraniano Shahindokth Molaverdi, delegato alle politiche della donna e della famiglia in Iran che mi spiegò le motivazioni di questo divieto.

“Benché nella Sharia, la legge islamica, non vi sia alcuna restrizione nella presenza delle donne nei luoghi dove si pratica sport, secondo alcuni chierici – spiegò la Molaverdi – le arene sportive sono ambienti poco adatti alle donne. Questa decisione è stata presa della parte più conservatrice iraniana che cerca in questo modo di tutelare e proteggere le donne e le famiglie da atti vandalici, da espressioni volgari e gesti violenti che potrebbero verificarsi durante una partita di calcio”. Nel giugno 2006 ci fu un momento in cui l’ex Presidente Iraniano Mahmoud Ahmadinejad, aveva permesso la presenza delle donne negli stadi, ma la sua decisione venne subito revocata dopo l’opposizione diretta dal clero di Qom, la seconda città santa dell’Iran dopo Mashhad.

La questione dunque dell’ammissione delle donne agli stadi per assistere ad aventi sportivi in Iran richiederà ancora del tempo, in quanto il divieto è esplicitamente parte del regolamento interno alla Federcalcio Iraniana. Bisognerà pertanto lavorare sulla diplomazia, ma anche attraverso campagne internazionali mirate, poiché quello che a noi può sembrare un problema minore in Iran, è invece ancora una volta un’assoluta discriminazione nei confronti delle donne. Così come tutte le altre restrizioni che, perpetrate dietro la giustificazione di proteggerle dalla violenza fisica e verbale maschile, altro non fa che relegarle a uno scalino inferiore. E probabilmente non solo uno.

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