“E se domani succede a me cosa fanno? Mi lasciano con la faccia a terra come hanno fatto con quel ragazzo? Bisogna che torniamo coi piedi per terra”. Insiste su questo punto Beatrice Bordino. Sull’indifferenza che azzera l’umanità e che fa paura. Parla di quello che le è successo domenica mattina intorno alle 11 al parco Forlanini, zona est di Milano. È affollato anche da tanti che, come lei, portano a spasso i cani, in una giornata d’estate. Calda. La sera prima “i sudamericani avevano fatto festa”, e le tracce sono evidenti. Distante un centinaio di metri vede un uomo a terra.

“Era a faccia in giù, aveva una posizione del tutto innaturale. Vedo la gente che lo schiva, gli passa a due centimetri. Non sono né un’eroina – dice Beatrice, che di professione fa l’avvocato – ma una persona normale che vede uno che sta male e cerca di fare qualcosa”. Allora inizia a correre, raggiunge quel corpo riverso a terra. Scoprirà che è un ragazzo ecuadoregno sui trent’anni, molto ubriaco. Prova a scuoterlo, ma niente, a chiamarlo, ma non risponde. “La mia cagnolina gli lecca la faccia e lui si sveglia”, racconta. “Intanto, intorno si forma un gruppetto di persone. Gente normale, gente che è al parco la domenica mattina. Inizia a insultarmi. ‘Brutta troia maledetta’, mi dicono. Ma non mi ferisce, troppo facile insultare così una donna”. Poi vanno avanti. “C’è chi dice: ‘lascialo morire quel negro di merda‘, ‘l’hai toccato, vatti a disinfettare'”. Arriva una signora. “Quella che definirei ‘una timorata di Dio’ che mi dice: ‘io prego tutte le notti perché faccia affondare i barconi di migranti. Io allora, anche se non credo, le dico che spero che Dio abbia sentito lei. Le ricordo il dolore di una madre che carica sul barcone il figlio. E lei mi dice di nuovo che spera che affoghino tutti”.

Quello che sconvolge Beatrice, però, non sono gli insulti. “Il fatto è che davanti a queste urla, nessuno si ferma per dire: ‘ma siete impazziti?'”. Nessuno. Il ragazzo si trascina all’ombra, lentamente. Ci sono anche degli operatori dell’Amsa, infastiditi dal caos lasciato al parco. “‘Questi migranti di merda, questi indiani qui…’ dicono anche loro”. Parte un’altra scarica di insulti contro Beatrice. Prova a ricordare a chi la offende che anche gli italiani sono stati migranti, che di loro dicevano che puzzavano, violentavano, rubavano. Gli animi si scaldano ancora di più. Lei allora si allontana e torna dal ragazzo per farlo bere. Altra scarica di offese e minacce: “Brutta troia, guai a te se chiami l’ambulanza che è pagata coi soldi dei contribuenti”. Interviene un amico dell’ecuadoregno, lo trascina via. Beatrice a quel punto si siede e piange.

“Mi ha preso lo sconforto. Come è possibile, mi sono detta, che ci siamo ridotti a questo livello? La storia non ci insegna niente. Mi sembra, e non solo in Italia, che ormai le persone guardino sempre di più solo al proprio orticello. C’è una paura collettiva diffusa, che non so spiegarmi fino in fondo. E poi ci si mettono la politica e l’ignoranza“. Perché Beatrice sa che “abbiamo seri problemi con l’immigrazione, ma non possiamo demonizzare le persone. E la politica, anche col silenzio, legittima l’indifferenza. Non puoi instillare l’odio nelle persone, dire che è giusto lasciare la gente in mezzo al mare e poi fare il bravo cristiano”. Il problema è complesso, i motivi dell’indifferenza sono tanti ed è difficile capirne fino in fondo le ragioni. “Siamo tutte persone, tutte. Non è vero che prendi una malattia se tocchi qualcuno che ha bisogno. Hai paura ad avvicinarti? Chiama qualcuno, chiama l’ambulanza, ma fai qualcosa. Aiuta, fallo. Punto”.

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