La conferma di un campione che vuole dimostrare a tutti di non essere sul viale del tramonto. La nascita di una stella assoluta del ciclismo. La penultima tappa del Tour de France, la Albertville-Val Thorens di appena 59,5 km (accorciata di 70 km a causa del maltempo) ha emesso due verdetti: la tappa a Vincenzo Nibali, la corsa a Egan Bernal. E se quest’ultimo risultato era pronosticabile alla partenza delle 14.30 da Albertville, l’arrivo in solitaria del siciliano al termine dei 33 chilometri di ascesa finale rappresenta un’autentica sorpresa, ma dimostra ancora una volta la classe e il carattere dell’italiano. Da molti contestato durante le 20 tappe della Grande Boucle per una condizione a dir poco precaria, Nibali ha onorato la corsa da vero campione: impossibilitato a lottare per la classifica finale, mai in grado di tenere il passo dei migliori, Nibali nell’ultima settimana di corsa ha cercato (spesso riuscendo) di entrare in tutte le fughe pur di lasciare una traccia in questo Tour, uno dei più belli degli ultimi venti, trent’anni. Oggi ha raggiunto il suo obiettivo. È andato in fuga subito e ha interpretato i 33 chilometri di salita verso Val Thorens come una cronoscalata: ritmo costante, compagni di fuga staccati senza difficoltà e arrivo in solitaria per un trionfo che rimarrà nella storia della sua già prestigiosa carriera.

A questo punto due questioni diventano ineludibili. La prima: la scelta della Bahrain-Merida di portare comunque Nibali al Tour nonostante un Giro d’Italia corso da protagonista si è rivelata comunque un’offesa nei confronti dello scalatore siciliano, costretto alle retrovie da una condizione che non poteva essere differente e alle prese con corridori che avevano organizzato la loro stagione solo sul Tour. Con una strategia diversa, Nibali avrebbe potuto recitare un ruolo da protagonista alla Vuelta: così invece ha dovuto fare il comprimario (e anche il gregario) in un Tour che con una squadra diversa avrebbe potuto anche vincere. E qui si pone il secondo interrogativo. Con un percorso del genere, come mail il siciliano e i vertici della sua squadra hanno preferito puntare sul Giro e non sulla Grande Boucle come corsa da provare a vincere? Un errore grossolano, che solo la classe di Nibali e la vittoria odierna hanno permesso di ridimensionare.

L’altra notizia di giornata è, come detto, la nascita della stella Egan Bernal. Il colombiano ha controllato, non è mai andato in affanno e, dopo l’exploit di ieri che gli ha dato la  maglia gialla, ha definitivamente messo le mani sul Tour. Bernal è uno scalatore pure, a cronometro non è fermo e ha margini di miglioramento ancora incalcolabili. La Ineos, insomma, ha in casa un campione di valore assoluto, con buona pace di Geraint Thomas (lo scorso anno vincitore, quest’anno secondo) e di Christopher Froome, che quando si riprenderà definitivamente dai guai fisici troverà in casa un avversario che rappresenta il futuro del ciclismo mondiale. La 20esima tappa ha riservato anche altre notizie: il francese Julian Alaphilippe, in maglia gialla fino a due giorni fa, è andato in crisi ed ha perso il podio. Restano i complimenti per una corsa condotta da protagonista assoluto nonostante caratteristiche da corsa di un giorno. Domani tappa finale: partenza da Rambouillet e passerella finale sugli Champs Elysees dopo 128 km.

“È stata una vittoria molto sofferta. È stato molto difficile per me questo Tour de France, non era facile dopo le fatiche del Giro – ha detto Nibali al traguardo – Ho ricevuto molti dissensi, qualcuno diceva che dovevo andare a casa ma per me era giusto onorare il Tour anche se la condizione non era la migliore”. “Negli ultimi giorni – ha spiegato – stavo molto meglio. Ho voluto riprovare oggi dopo le fatiche di ieri. La salita finale era interminabile, vero che era corta ma sembrava quasi una cronoscalata. Gli ultimi 500 metri non finivano più. All’arrivo è stata una liberazione – ha concluso – Avere vinto qui mi ha dato una grande gioia. Dedico la vittoria a mio nonno che è mancato lo scorso anno e al mio staff“.

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