73: a’ meraviglia. 30: ‘e palle du tenente. 28: ‘e zizze… Sono i numeri della tombola napoletana. Alla smorfia Annalaura di Luggo ha dedicato il party per il lancio del suo docufilm “Napoli Eden”. Un set fatto di gobbi (57), pulcinella (75), femmenebelle ( 21), diavolesse (77), morti che parlano (48) e ancora guitti e nacchere, tamburelle e frou frou, nel giardino della villa di famiglia, pied dans l’eau nel golfo di Baia, con un tramonto tinteggiato di rosa che si tuffa nel bicchiere. AnnaL, sciantosa e schiantosa, nella sua mise folkeggiante con i numeri cuciti addosso, duetta con Eugenio Bennato, autore della colonna sonora di Napoli Eden, regista Bruno Colella che si inventò con Achille Bonito Oliva il Premio Antipatia. Chiuso perché i candidati erano troppi.

“Io sono a’ femmena c’a ciorta (sono una donna fortunata ) moineggia AnnaL che adatta I will survive, il super hit di Gloria Gaynor, a una versione più verace/ dialettale. Mentre le modelle glitterate e scintillanti a bordo piscina sfilano abiti scultura in alluminio riciclato realizzati dalla costumista Graziella Pera in collaborazione con gli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Roma. AnnaL reinventa ogni giorno la sua creatività. Espone un tracciato di biodiversità, “Genesis”, alla Biennale di Venezia 2019, e inaugura in uno storico palazzo insieme al compagno Olindo Preziosi, avvocato penalista, lo Jus Museum, metà galleria d’arte, metà studio legale.

Tutto cominciò per AnnaL, erede Fiart, cantieri navali di Baia, con Blind Vision, un viaggio di luce nell’iride e nella percezione dei non vedenti, un concept presentato alle Nazioni Unite. Si occupa dei diritti delle minoranze, fotografa gli occhi delle star di Hollywood e firma installazioni multimediali  sparse per la Napoli antica coinvolgendo ragazzi dei Quartieri Spagnoli e del carcere di Nisida. Passeggia nel cretto di Aberto Burri, l’opera di landscape realizzata in una frazione della Valle del Belice post-terremoto. Bennato la guarda e dice: “Sei tu un’installazione vivente”. E passa il microfono a Rodolfo Bernabò travestito da piccirillo con pannolino, cuccio e cuffietta. Sincronia dialettale (quasi). Quelli che non sono riusciti a entrare si sono assiepati sul sagrato della basilica di Santa Chiara, nel ventre di Spaccanapoli. Dentro un bagno di folla e di caldo.

Autorità blindate nelle prime file. Ma no, i selfie davanti alla bara proprio no. In questa eccessiva voglia di rappresentarsi in ogni dove non poteva mancare l’ultimo ricordo del caro estinto. “La vita va allargata (non allungata)”, filosofeggiava. Ma non con cattive maniere. Cosa avrebbe fatto De Crescenzo/Bellavista li avrebbe lasciati fare o avrebbe messo in scena la cacciata dei mercanti dal tempio. . .? Non credente, ma sperante- era il suo mantra- E io vorrei tornare a rinascere a Napoli. Speriamo che lassù qualcuno lo ascolti…

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