Amareggiate, disilluse, spaventate per il loro futuro: così appaiono le donne italiane divorziate, nonostante siano loro, nel 70% dei casi, a decidere di chiedere la separazione. Loro, le donne, sono convinte di stare peggio degli ex coniugi – che si risposano di più, 41,1% contro 26,2% a dieci anni dalla separazione –, di aver dato molto durante il matrimonio e di trovarsi ora con nulla in mano.

Se si vanno ad ascoltare le voci dei padri separati, la realtà appare sotto altra luce. Gli uomini raccontano di un tenore di vita che crolla, dell’incubo di lasciare la propria casa, della difficoltà di vedere i figli anche quando spetterebbe loro di diritto. E’ il tema di un’inchiesta su come cambiano, anche nel divorzio, i rapporti di forza  fra i sessi, pubblicata dal mensile FQ MillenniuM, diretto da Peter Gomez, in edicola da sabato 13 luglio.

«Volevo l’affidamento, ma figuriamoci, te lo danno solo se lei è un’assassina, tossica, ladra», dice Filippo, che ha una piccola azienda edile. «Abbiamo fatto l’affido condiviso, ma è un ricatto sotto forma di sorriso, ti devi accontentare di quello che ti danno. La mia ex dice che non posso lamentarmi perché vedo mia figlia tutte le settimane, ma per me lei è come il pane e io, fino a prova contraria, mangio tre volte al giorno».

Dal 1991, i divorziati sono quadruplicati, passando da 376 mila a oltre 1 milione 672 mila. Gli ultimi dati Istat sono del 2015 e parlano di 82.469 divorzi nel 2015 rispetto ai 54.351 del 2008. «Nel 1970 eravamo il primo Paese al mondo come numero di matrimoni, nel 2017 siamo all’ultimo posto», spiega Gian Ettore Gassani, avvocato e presidente dell’Associazione Matrimonialisti Italiani.

I cambiamenti nei rapporti fra ex mariti e mogli sono scaturiti soprattutto dalle sentenze dei Tribunali. In particolare, sull’assegno di divorzio per l’ex si è consumata negli ultimi due anni una battaglia a colpi di Cassazione. Nel maggio 2017, la Suprema Corte aboliva il controverso obbligo a “mantenere lo stesso tenore di vita” del coniuge. Un anno dopo, invece, reintroduceva l’assegno di divorzio con funzione “assistenziale, compensativa e perequativa”.

Se negli ultimi anni la voce dei padri separati si è fatta sentire con forza, mentre alcuni comuni hanno cominciato a mettere in campo giuste misure contro la povertà degli uomini, come le case per i padri separati, c’è chi contesta un racconto che appare a senso unico, perché cancella il tema della povertà delle separate. Nell’Audizione tenuta alla Commissione Giustizia del Senato nel febbraio di quest’anno, la statistica sociale Linda Laura Sabbadini ha spiegato che sì, i separati hanno un livello di povertà assoluta superiore alla media (10,9% contro 8,9%). Ma «il rischio di impoverimento delle donne è ben peggiore». Solo il 59,2% delle separate, infatti, lavora contro l’82% dei separati. Le donne in povertà assoluta sono 12,7% contro l’8,7% degli uomini e il valore è ancora più alto se vivono da sole con figli (18%).

L’ondata leghista, però, non favorisce sicuramente le ragioni delle donne, anche perché, spiega Gassani, «i padri separati sono diventati un vero e proprio bottino di voti». Lo sa bene il senatore leghista Simone Pillon, che con il suo controverso disegno di legge – al momento fermo anche se lui ha annunciato che se ne tornerà a parlare in Commissione Giustizia – schiaccia l’occhiolino proprio a loro: no ad ogni forma di assegno, anche per i figli, sì al mantenimento diretto dei due genitori, indipendentemente dal reddito, figli divisi a metà tra padri e madri come numero di giorni e mediazione familiare forzata.

Leggi l’inchiesta completa su FQ MillenniuM in edicola da sabato 13 luglio

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