La Colombia che si presenta ai Mondiali di Usa ’94 è una Nazionale imbottita di talento. Pelé la inserisce tra le favorite e i bookmaker non gli danno torto. A guidarne il centrocampo c’è Carlos Valderrama, che in testa pare avere un nido di vespe, ma che con i piedi fa meraviglie. Davanti, la follia di Faustino Asprilla è innescata dalle incursioni di Freddy Rincón, mentre in panchina siede un vero e proprio maestro di futbol sudamericano: Francisco Maturana. I giornali la chiamano La Generación Dorada. Un’armata sconfitta in una sola delle 26 partite disputate prima della Coppa del Mondo e capace di profanare il Monumental di Buenos Aires rifilando un terrificante 5 a 0 all’Argentina di Redondo e Batistuta. Quel match Andres l’ha mancato, ma dei Cafeteros è uno dei leader spirituali nonché principe della difesa. Centrale astuto ed elegante, gioca nella squadra della città dove è nato, l’Atletico Nacional di Medellín, e a 27 anni si è già tolto parecchie soddisfazioni: dalla Copa Libertadores conquistata nel 1989 allo scettro Intercontinentale conteso al Milan di Arrigo Sacchi.

Incuriosisce, però, che dietro a questi successi ci sia anche la mano di un altro Escobar, Pablo, che nel club biancoverde ha individuato un’ottima opportunità per riciclare parte dei 60 milioni di dollari che ogni giorno gli piovono addosso dal traffico di stupefacenti. Un legame malato e profondo quello tra mondo della droga e calcio colombiano, una corrispondenza che non si estingue certo con la scomparsa del Re della coca, ma che anzi diventa ancor più velenosa proprio con l’omicidio di Pablo Escobar. A partire dal 2 dicembre 1983, infatti, il Paese è scosso da un’ondata di sangue e terrore che accompagna la corsa al trono del narcotraffico. Una lunga notte che non risparmia nemmeno la Nazionale e che vede anzi coinvolti il portiere René Higuita – costretto a trascorrere sette mesi in carcere per aver fatto da intermediario in un sequestro di persona – e il difensore Luis Fernando Herrera – a cui i Cartelli arrivano persino a rapire il figlio più piccolo.

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Andrés Escobar, 25 anni fa l’autogol che fece scoprire al mondo i legami tra il calcio colombiano e i cartelli della droga

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