Olandese, classe ’61, laureato in letteratura francese ma con un master in diritto europeo e, soprattutto, romanista sfegatato. Frans Timmermans, attuale primo vicepresidente della Commissione Ue, quindi braccio destro di Jean-Claude Juncker, è ora il favorito alla sua successione. È il candidato della famiglia dei socialisti europei, partito a cui è sempre appartenuto fin dalla sua discesa in politica nel 1998.

Franciscus Cornelis Gerardus Maria Timmermans è nato a Maastricht, città simbolo per l’Unione europea a causa del Trattato che porta il suo nome e con il quale si gettarono nel 1992 le basi per la nascita della moneta unica. Ma in Olanda ha passato poco tempo durante la sua giovinezza: grazie al lavoro del padre diplomatico, a 11 anni si è trasferito a Roma, dove ha frequentato la scuola britannica St. George, imparando l’italiano e frequentando gli amici con cui andava di nascosto allo stadio a vedere le partite della Roma. La sua particolare attitudine per le lingue lo ha portato a imparare alla perfezione anche il francese e il tedesco.

Dopo il percorso universitario ha iniziato a lavorare nel dipartimento per l’integrazione europea del ministero degli Esteri olandese, incarico che ha condizionato la sua professione futura. Ha poi proseguito la carriera diplomatica a Mosca, per rientrare nel 1994 in Europa e diventare assistente del commissario olandese. Nel 1998 entra in politica e viene eletto con i laburisti olandesi, mandato che gli verrà rinnovato per altre sei volte. Dal 2007 al 2010 fa parte del governo di coalizione liberale-socialista come ministro degli Affari europei e poi come ministro degli Esteri dal 2012 al 2014.

Dal 2014 è primo vicepresidente della Commissione Ue, fortemente voluto da Juncker che lo scelse fin da subito come suo braccio destro, e per questo inventò una carica che fino ad allora non esisteva. Durante il suo mandato si è fatto dei nemici, soprattutto a Est: ha costretto Polonia e Ungheria a rivedere le loro leggi che hanno indebolito lo Stato di diritto, non esitando ad avviare la cosiddetta ‘procedura articolo 7’ che sanziona i Paesi membri ritenuti in contrasto con i valori fondanti dell’Unione.

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