Da quando il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha annunciato la strategia dei “porti chiusi”, un anno fa, nel Mediterraneo sono morti 1.151 tra uomini, donne e bambini. Oltre 10mila persone, inoltre, sono state riportate forzatamente in Libia. La maggior parte si trova ora rinchiusa in centri di detenzione dove, secondo diversi rapporti dell’Onuavvengono sistematicamente uccisioni, torture, stupri e violenze. I dati sono denunciati dalle ong Medici senza frontiere e Sos Mediterranee che chiedono di “garantire con urgenza un sistema di ricerca e soccorso in mare adeguato, compreso un coordinamento delle autorità competenti nel Mediterraneo, per evitare morti inutili”. Salvini aveva dichiarato che grazie alle sue politiche le vittime nel Mediterraneo erano diminuite del 90% nel 2019, equiparando erroneamente i 2 corpi recuperati sulla rotta italiana con i circa 400 morti (saliti a 500) o dispersi in mare sulle rotte spagnola, greca e italiana. Nel 2019, secondo l’Unhcr, una persona su tre è morta nella traversata dalla Libia.

Da quando è stato bloccato l’ingresso nei porti italiani alla nave di ricerca e soccorso Aquarius, secondo le ong, “lo stallo è diventato la nuova regola nel Mar Mediterraneo centrale, con oltre 18 incidenti documentati”. I blocchi, che sono andati avanti per un totale di 140 giorni, hanno trattenuto 2.443 persone “in mare mentre i leader europei decidevano il loro futuro”. Secondo le organizzazioni, “la criminalizzazione del salvataggio di vite in mare non solo porta conseguenze negative per le navi umanitarie, ma sta erodendo il principio fondamentale del prestare assistenza alle persone che si trovano in pericolo”.

“Le navi commerciali, e addirittura quelle militari”, si legge nella denuncia, “sono sempre più riluttanti nel soccorrere le persone in pericolo a causa dell’alto rischio di essere bloccate in mare e di vedersi negato lo sbarco in un porto sicuro”. Questo, in particolare, avviene per le navi mercantili. Per le quali è estremamente complicato perdere tempo a largo o essere costrette dalle autorità a dover riportare le persone soccorse in Libia. “La risposta dei governi europei alla crisi umanitaria nel Mar Mediterraneo e in Libia è stata una corsa al ribasso”, sostiene Annemarie Loof, responsabile per le operazioni di Msf. “Un anno fa abbiamo implorato i governi europei di mettere al primo posto la vita delle persone. Invece, a un anno di distanza, la risposta europea ha raggiunto un punto ancora più basso”.

Il 19 maggio l’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu ha presentato un documento contro le politiche migratorie di Salvini e in particolare il decreto sicurezza bis. “Violano i diritti umani”, è la sintesi della lettera in cui si chiede al governo di assumere “misure ad interim” per “fermare le violazioni” ed “evitare che si ripetano”. Nello specifico, si chiede al governo di ritirare le circolari di Salvini contro la Mare Jonio e di bloccare il provvedimento che multa le ong che effettuano soccorsi in mare. Il Governo italiano ha definito le critiche “inadeguate e di stupefacente ristrettezza mentale”, sottolineando come il rispetto dei diritti umani è “un obiettivo prioritario”. Il Governo ha poi ribadito la sua linea contro le ong, le cui “condotte reiterate consentono di raggiungere l’obiettivo dei trafficanti”.

Ma non è soltanto l’Onu a pronunciarsi. Appena una settimana fa, il 4 giugno, un gruppo di avvocati ha accusato l’Unione europea di crimini contro l’umanità di fronte alla Corte penale internazionale dell’Aja. Le accuse riguardano la responsabilità dei Paesi membri e delle istituzioni europee nella morte dei 14.500 migranti annegati nel Mediterraneo tra il 2014 e il 2017 e nelle uccisioni nei campi di detenzione in Libia. Negli atti di accusa sono indicati esplicitamente i primi ministri Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Emmanuel Macron, Angela Merkel e i ministri dell’Interno Marco Minniti e Matteo Salvini.

“L’assenza di navi umanitarie nel Mediterraneo centrale in questo periodo mostra l’infondatezza dell’esistenza di un fattore di attrazione”, ha concluso Frédéric Penard, direttore delle operazioni di Sos Mediterranee. “La realtà è che anche con un numero sempre minore di navi umanitarie in mare, le persone con poche alternative continueranno a provare questa attraversata mortale a prescindere dai rischi. L’unica differenza, ora, è che queste persone corrono un rischio quattro volte maggiore di morire rispetto all’anno scorso, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni”.

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