Gianmarco Pozzecco non aveva mai allenato in una partita di playoff scudetto prima del 18 maggio. Simone Pianigiani non aveva mai perso una serie lungo la strada che porta allo scudetto, in Italia come in Israele. Si potrebbe iniziare da qui per spiegare il miracolo sportivo che la Dinamo Sassari allenata dalla Mosca Atomica sta compiendo ormai da mesi e il fallimento dell’Olimpia Milano, pure quello iniziato da mesi o forse addirittura da anni.

Lo si può far risalire alla decisione di fare a meno di un general manager di peso a livello europeo per accompagnare gli allenatori nella scelta dei giocatori e nella gestione durante i mesi di campionato ed Eurolega. Un problema che è il vero filo conduttore della gestione di Giorgio Armani e che proprio dopo il capitombolo per 3-0 sembra accelerare: Livio Proli ha annunciato che lascia anzitempo e a questo punto l’ingaggio di un g.m. di cultura tecnica appare scontato.

Ma è dal capolavoro di Sassari che bisogna partire per spiegare l’ultimo tracollo che ha messo l’etichetta ddl fallimento definitivo sui biancorossi. Non staremo qui a spiegare se è nato prima l’uovo o la gallina, cioè se la Dinamo è davvero imbattibile oppure se l’harakiri di Milano viene prima di ogni merito sardo. La Dinamo risolverà l’enigma in finale. Dove è arrivata senza sconfitte (non accadeva dal 2009/10, ci riuscì la Montepaschi Siena) per manifesta superiorità. Non nel budget né nei singoli, meno quotati e in minor numero rispetto all’Olimpia. Se gli scudetti si assegnassero sulla base di questi parametri, i campionati in Italia non dovrebbero neanche cominciare tanta è la disparità tra il club milanese e il resto della compagnia. Per fortuna di mezzo ci sono variabili impreviste, come quella che ha unito Pozzecco e Sassari. I sardi erano nelle mani di Vincenzo Esposito, al nono posto dopo 19 giornate, con 9 vittorie e 10 sconfitte.

Nelle ultime 11 nessuno ha fatto meglio di Pozzecco. Dopo aver perso le prime due (la prima a tavolino contro Cremona e poi a Venezia) ha conquistato solo vittorie. Nove in stagione regolare che gli hanno permesso di chiudere al quarto posto, poi le tre contro Brindisi e altrettante per sbrigare la pratica Milano. Fino al 13 febbraio, giorno in cui ha messo piede a Sassari, il Poz ne aveva vinte 6 su 19 a Varese, la sua seconda casa, nella stagione 2014/15 e dieci su 15 alla Fortitudo Bologna, l’altra seconda casa, nel 2018. 

Contando i 7 successi in Fiba Europe Cup, ha già racimolato più di quanto abbia fatto in tutta la sua carriera da coach che fino a Sassari non sembrava rispecchiare i successi da giocatore. E allora cosa è accaduto? Lui ha minimizzato dopo l’accesso alla finale, dicendo che l’uomo che lo scoprì (Tullio Micol) gli ha mandato i giocatori trovati a Sassari. La realtà è che il Poz è sicuramente riuscito a dare un assetto a una buona squadra, creando il clima giusto – grazie alle sue doti umane – perché un gruppo depresso dai risultati e dal k.o. del suo miglior elemento (Scott Bamforth) ritrovasse il filo della stagione. Sassari gioca con il sorriso, ha entusiasmo, ma anche spunti tattici interessanti. Il merito è certamente del coach, visto che Stefano Gentile non aveva mai giocato a questi livelli né Rashawn Thomas (20 punti e oltre 11 rimbalzi di media in semifinale) aveva sfoderato prestazioni memorabili nei primi mesi di campionato.

Ma non è nei singoli che di volta in volta si caricano la squadra sulle spalle (vedi Jaime Smith in gara-3 contro Milano, 29 punti) che va ricercato il successo. Quanto nella capacità del collettivo – lo ha spiegato Achille Polonara dopo il secondo successo al Forum – di far partire il proprio gioco dalla difesa con energia sfruttando centimetri e chili (la Dinamo sta dominando a rimbalzo nei playoff) che nel gruppo non mancano.

Tutto il contrario di quanto ha messo in mostra Milano durante i playoff. Una squadra sfibrata, slegata, anemica e scollata. La fotografia è nel tiro da 9 metri no sense sparato dal suo miglior giocatore, Mike James, a pochi secondi dalla fine dei 40 minuti in gara-3 sull’89 pari. La cifra del fallimento di un progetto è riassumibile in quella scelta nel momento cruciale della stagione: possibile che l’Olimpia arrivi a giocarsi un campionato senza costruire qualcosa, senza passarsi la palla, senza lo straccio di un’idea? Sì, se per mesi è rimasta aggrappata sempre alle mani di qualcuno (ora James o Nunnally, ora Nedovic o Jerrells). Qui le colpe, come dall’altra parte vanno attribuite a Pozzecco, sono dell’allenatore.

Eppure dopo l’eliminazione Pianigiani ha comunque giudicato sufficiente la stagione europea senza playoff di Eurolega (“Abbiamo fatto un passo”) e per quanto riguarda il campionato ha imputato il k.o. alle assenze (Guidaitis) aggiungendo di non voler parlare di arbitri per non rischiare la squalifica. Lasciando intendere, insomma, che potrebbero anche loro aver avuto un peso nella precoce eliminazione. Avendo fallito pure in Coppa Italia e potendo contare su una squadra dove l’ultimo in fondo alla panchina, Simone Fontecchio, zero minuti nei playoff, partirebbe in quintetto in quattro quinti dei club di A, l’analisi assai auto-assolutoria appare quantomeno friabile. Proprio come la stagione della sua Milano.

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