Dopo le elezioni europee è tempo di nomine ai vertici delle più importanti istituzioni comunitarie: Commissione, Consiglio, Eurogruppo, Banca centrale, Parlamento. Gli italiani Tajani (presidente del Parlamento), Draghi (presidente della Bce) e Mogherini (alto commissario alla politica estera) cederanno il posto a figure nuove, che italiane non saranno, né pare avremo rappresentanti dell’Italia nelle altre posizioni di maggior peso. Se questa sia da considerare un’onta e una disgrazia, come adombrano alcuni commentatori, è tutto da dimostrare, perché il contare in Europa non è direttamente proporzionale al numero di poltrone occupate. Se così fosse, l’Italia, che ne aveva tre, avrebbe dovuto contare moltissimo, mentre sappiamo che non è andata proprio così.

Lasciamo allora l’empireo e scendiamo a vedere che cosa succede ai livelli più bassi e scopriremo qualcosa di interessante. Qualsiasi funzionario italiano della Commissione europea, masticando amaro, sarebbe in grado di dirvelo ma, se non ne conoscete uno, lasciatevelo raccontare dalla voce purtroppo inascoltata di qualcuno che se ne intende, come il professor Massimo Balducci dell’Università di Firenze, che ha insegnato allo European Institute of Public Administration di Maastricht e alla Scuola Nazionale di Amministrazione di Roma.

In un suo scritto del 2018, intitolato “Contare veramente nella Ue. Senza lasciare le alleanze”, Balducci sfata la leggenda per cui la legislazione europea verrebbe preparata nelle riunioni plenarie della Commissione e nelle riunioni del Consiglio. Non è così: “La proposta della Commissione viene messa a punto dai cosiddetti comitati di esperti’, dove gli esperti non sono dei ricercatori di chiara fama ma i funzionari nazionali che nel loro Paese si occupano dell’argomento”.

Benissimo. E dove sono i nostri esperti?

“Nelle riunioni di questi comitati la sedia italiana è sistematicamente vuota. Quando, eccezionalmente, il nostro funzionario c’è, capita quasi sempre che non sa l’inglese (non si lavora con l’interpretariato), per non parlare del fatto che, di solito, arriva alla riunione in fine mattinata (dopo essere arrivato all’aeroporto di Bruxelles, deve prima passare alla sede della Rappresentanza Permanente Italiana per farsi vidimare il modulo di presenza e, poi, al Monte dei Paschi per farsi pagare la diaria). Alle cinque del pomeriggio deve poi ripartire per non perdere l’ultimo volo per Roma. Molte decisioni maturano la sera a cena…” e noi non ci siamo.
La proposta messa a punto dai funzionari nazionali passa poi alla Commissione e, in mancanza di richieste di modifica, viene considerata approvata. Passa quindi al Consiglio, “o meglio ad uno dei 267 gruppi di lavoro (ognuno formato da un funzionario di ogni Stato membro) che la tratta. Se nel gruppo di lavoro si raggiunge un accordo sulla proposta, essa viene messa all’ordine del giorno del Consiglio e non viene discussa ma approvata ritualisticamente. Se non si raggiunge un accordo il dossier è passato al Comitato dei Rappresentanti permanenti (Coreper). Se qui si raggiunge un accordo la proposta viene messa all’ordine del giorno del Consiglio solo per una approvazione ritualistica“.

Notate bene: “Solo poco meno del 5% delle direttive e regolamenti approvati vengono effettivamente trattati dalla Commissione e/o dal Consiglio. Nei gruppi di lavoro vige il motto: ‘pooling of authority’. Le autorità degli Stati Membri devono essere messe insieme e trovare una mediazione che soddisfi tutti. Orbene in questi snodi cruciali noi siamo assenti” mentre “per farsi sentire a Bruxelles non bisogna presentarsi come degli squinternati parà nelle sedi politiche, ma bisogna mandare dei funzionari competenti nei gruppi di lavoro, anche nel caso si dovesse discutere della revisione dei trattati”.

Balducci, che era a  Maastricht nella fase di preparazione dei trattati, ricorda che “i lavori venivano seguiti per l’Italia da un eroico funzionario della Farnesina (il Ministro Nigido), che poteva contare su 4 o 5 cinque collaboratori, che dovevano confrontarsi con le delegazioni di esperti degli altri Stati composte ciascuna da centinaia di esperti”.

Pare quindi che i risultati migliori, le soluzioni più utili siano il frutto di un lavoro oscuro, lontano dalle scene filmate per i telegiornali ma più vicino alle esigenze e alle necessità dei cittadini, tutti europei ma ognuno in modo diverso: quel modo che avrebbe il diritto di essere rappresentato nella sede più adatta per confrontarsi con gli altri modi e trovare di volta in volta, attraverso una discussione anche vivace, un punto di compromesso. In queste situazioni, in Europa sono gli assenti che non contano e gli italiani sono troppo spesso assenti.
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