Joker inquieta e affascina perché rappresenta una risposta possibile alla domanda: “Come reagire all’esistenza quando questa distrugge ogni possibile ricerca del senso?”. La risposta del Joker è semplice: rifiutando e anzi minacciando la struttura stessa di qualsiasi cosa voglia attribuirsi un senso arbitrario. Per il personaggio non esiste morale né etica che non sia una serratura da far saltare in aria, il suo approccio non è affatto anarchico, in quanto non c’è alcuna ricerca di autodeterminazione, bensì sanguinosamente nichilista. Da lì il desiderio espresso in The Killing Joke di corrompere la morale comune dei suoi avversari più che di distruggerli. Se il significato fosse una pignatta, il Joker sarebbe quello che usa tutti gli invitati alla festa come mazza per distruggerla. La connessione tra questa tesi e l’altro tratto distintivo del personaggio, la risata, ci viene svelata da Arthur Schopenhauer nel suo Il Mondo come Volontà e Rappresentazione: “Una risata – osserva il filosofo – proviene sempre da un’improvvisa percezione di un’incongruenza tra un concetto e l’oggetto reale a cui quel concetto ci fa pensare. La risata stessa è l’espressione di quell’incongruenza”.

Il Joker percepisce il mondo e la sua ricerca di senso come una continua incongruenza. È quasi come se sapesse di essere un personaggio fittizio (d’altronde non sono poche le volte in cui “guarda in camera” nel fumetto) la cui esistenza si lascia definire solo dalla teatralità e dall’eccesso del suo gesto. Niente di più facile quindi che sia ossessionato da Batman proprio perché, al contrario suo, prende tutta quella tragedia fittizia in maniera estremamente seria, cercando di restituirgli un senso e un ordine. Da lì il desiderio di ostacolarlo sempre ma non ucciderlo mai, perché è solo facendolo impazzire, facendogli vedere il mondo attraverso i suoi occhi, che otterrebbe la sua vera vittoria.

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