Rinviato a giudizio. Dopo sette ore di camera di consiglio, il gup di Locri Amalia Monteleone ha mandato a processo il sindaco “sospeso” di Riace Mimmo Lucano. Il gup non si è espresso, invece, sull’istanza presentata dagli avvocati Antonio Mazzone e Andrea Daqua che nei giorni scorsi avevano chiesto la revoca della misura cautelare per Lucano sottoposto al divieto di dimora nel Comune di Riace. Sarà il Tribunale, quindi, a decidere se Mimmo “u curdu” ha commesso i reati che la Procura di Locri gli contesta nell’inchiesta “Xenia” della Guardia di finanza. Il gup ha rinviato a giudizio anche gli altri 25 imputati alcuni dei quali, secondo gli inquirenti, sarebbero coinvolti in un’associazione a delinquere ai danno dello Stato per la gestione dei fondi destinati all’accoglienza.

Le accuse più pesanti, infatti, riguardano proprio i soldi arrivati a Riace per i migranti. Lucano sarà processato per abuso d’ufficio e concussione, ma anche perché, secondo la Procura, sarebbe il promotore dell’associazione a delinquere che avrebbe avuto lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace”.

Su questo capo d’imputazione il gip, che a ottobre dispose i domiciliari nei suoi confronti (poi trasformati nel divieto di dimora dal Tribunale del Riesame), aveva sottolineato come il sindaco non ha avesse intascato un euro dei fondi per l’accoglienza. Lucano, inoltre, deve rispondere anche di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (l’unico reato per il quale è ancora sottoposto a misura cautelare) e di alcune irregolarità nell’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti a due cooperative che raccoglievano l’immondizia con due asinelli. Quest’ultima accusa e le esigenze cautelari sono state annullate con rinvio dalla Cassazione secondo la quale mancano indizi di “comportamenti” fraudolenti che il sindaco sospeso di Riace avrebbe “materialmente posto in essere”. Per la Suprema Corte, infatti, è la legge che consente “l’affidamento diretto di appalti” in favore delle cooperative sociali “finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate” a condizione che gli importi del servizio siano “inferiori alla soglia comunitaria”.

Inoltre, secondo la Procura di Locri e la Guardia di finanza, Tesfahun Lemlem (coimputata nel processo “Xenia” e anche lei rinviata a giudizio) insieme a Lucano avrebbe orchestrato un finto matrimonio con un uomo che sarebbe in realtà suo fratello. L’obiettivo, stando all’impianto accusatorio, era di permettere all’uomo di venire in Italia dall’Etiopia. Progetto che non è stato portato a termine in quanto il soggetto è stato arrestato in Africa perché trovato in possesso di documenti falsi. A proposito dei matrimoni fittizi, annullando la misura cautelare per Tesfahun Lemlem, la Cassazione ha stabilito che Lucano era “pienamente consapevole dell’illegalità di alcune sue condotte finalizzate ad ‘aiutare’ extracomunitari” ma che le avrebbe commesse “probabilmente per finalità moralmente apprezzabili”.

Le accuse nei confronti di Lucano e degli altri imputati hanno retto al termine dell’udienza preliminare. Adesso il sindaco “sospeso” dovrà attendere il 18 aprile,  data in cui è fissata l’udienza davanti al Tribunale del Riesame di Reggio Calabria. L’unica speranza rimasta a Lucano di affrontare il processo da uomo libero. Con il rinvio a giudizio di oggi, infatti, sono ripartiti i termini di custodia cautelare che tra pochi giorni sarebbero scaduti. L’inizio del processo è previsto per l’11 giugno.

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