Ben 116 capi di imputazione dell’operazione Camaleonte, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia contro la cosca Grande Aracri, riguardano truffe societarie, false fatturazioni per operazioni inesistenti, spostamenti di soldi funzionali a riciclare denaro sporco e a generare contante pulito. Un sistema consolidato di ricorso agli uffici postali in Emilia Romagna che utilizzava le società di incensurati imprenditori veneti per far perdere le tracce delle operazioni illecite compiute. L’inchiesta, come in Aemilia, evidenzia un impressionante utilizzo di Poste Italiane come principale deposito e cassa per la ‘ndrangheta delle famiglie Grandi Araci/Sarcone. Una cosca che in quindici anni, all’inizio del terzo millennio, ha conquistato le tre regioni più ricche del nord, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, dove si realizza il 40% del Pil italiano e dove la domanda di soluzioni illecite per evadere il fisco ed abbassare i costi è dilagante nel ricco tessuto economico.

I passaggi delle tantissime operazioni fraudolente raccontati dall’inchiesta Camaleonte si riassumono in poche righe. In primo luogo gli emissari della mafia consegnavano agli imprenditori veneti (minacciati o collusi) il contante da riciclare, attraverso incontri in luoghi sempre diversi. Poi le società gestite o controllate dalla cosca emettevano fatture false verso le aziende dei medesimi imprenditori che provvedevano a pagare con bonifici, depositati sui conti correnti postali della provincie di Reggio Emilia e Modena dove i soldi venivano ritirati con un vorticoso giro di prelievi sempre per piccole cifre. È’ il cosiddetto “smurfing”, cioè l’insieme di movimentazioni ripetute e di modesta entità messe in atto per restare al di sotto della soglia d’attenzione.

Una delle tante operazioni compiute rende chiaro il giro. Il 30 settembre 2013 alle 11,30 Sergio Bolognino incontra Gianni Floro Vito presso il casello autostradale di Mantova Nord. Un’ora dopo lo stesso Bolognino incontra Antonio Brugnano al casello di Nogarole Rocca. Due ore dopo è al parcheggio dell’ospedale di Cittadella, in provincia di Padova, dove incontra Leonardo Lovo. Sono tutti già condannati in Aemilia o sotto indagine in Camaleonte. Questa è la fase della consegna dei soldi. Il giorno dopo due società venete, la Biasion Group srl e la Universo Costruzioni srl, effettuano tre bonifici rispettivamente di 25mila, 11mila e 10mila euro sui conti correnti postali di due società riconducibili alla galassia della ‘ndrangheta: la Immobiliare Tre srl, società cartiera dell’arcetano Gianni Floro Vito, e la Service srl del reggiano Antonio Brugnano.

La settimana successiva tutti quei soldi vengono prelevati dai postamat di 19 uffici postali nelle provincie di Reggio Emilia e Modena utilizzando tre diverse carte intestate a Floro Vito e Brugnano. Sei prelievi a Carpi, sei a Reggio, uno ad Arceto, due a Cadelbosco Sopra, tre a Correggio, uno a San Martino in Rio, uno presso lo sportello Posta Impresa di Reggio Emilia. È la stessa modalità di riciclaggio evidenziata in cento operazioni da Aemilia, dove gli sportelli postali, con carte individuali o societarie (Posta Impresa), sono i più frequentati dalla ‘ndrangheta.

Una delle società cartiere utilizzate per raccogliere i soldi provenienti dal Veneto è la Re.Com. srl, che ha sede a Reggio Emilia e commercia materiali per l’edilizia. Legale rappresentante è Francesco Scida: secondo l’accusa è prestanome di Giuseppe Giglio e Gianni Floro Vito. In meno di un anno, tra gennaio e novembre 2014, sul suo conto corrente postale entrano bonifici per 3 milioni e 200mila euro ed escono attraverso prelievi e vaglia 3,3 milioni con un totale di circa 1200 movimentazioni. È una società che presenta i tre indicatori di anomalia necessari a definire una alta pericolosità di infiltrazione: intensa attività bancaria, assenza di dipendenti e di organizzazione imprenditoriale, assenza di dichiarazioni fiscali. Un evasore totale, in sostanza, che però sfruttava in tutta tranquillità i postamat di Reggio Emilia e provincia per le proprie operazioni.

A lanciare l’allarme sulle falle del sistema postale nel controllo delle movimentazioni economiche mafiose fu nel 2016 il sindacato Slc Cgil dell’Emilia Romagna, che un anno dopo i 117 arresti di Aemilia raccoglieva le dichiarazioni dei propri iscritti dipendenti di Poste Italiane: “La situazione si è aggravata. Il fatto è diventato sempre più evidente e preoccupante (nonostante gli arresti di Aemilia). Una certa tipologia di clientela sta letteralmente prendendo d’assalto gli uffici postali del territorio, ritirando in continuazione e quasi giornalmente denaro contante proveniente da bonifici. Sono movimentazioni di denaro per volumi complessivi molto rilevanti, realizzate utilizzando una pluralità di carte che risultano poi collegate a conti correnti postali radicati in particolare nelle province di Reggio Emilia e di Modena. Sono originari per la maggior parte della regione Calabria e dalle ultime segnalazioni anche della regione Campania. Gli operatori che fanno il loro dovere, che segnalano operazioni sospette, incorrono nelle velate minacce da parte di questi particolari clienti”.

Il 7 settembre 2016 depose nell’aula di Aemilia Loretta Medici, ex direttrice di PosteImpresa Reggio, attraverso i cui sportelli passavano anche i soldi riciclati dal Veneto. Rispondendo al Pubblico Ministero ammise di essere in confidenza con Gianni Floro Vito, poi condannato a 20 anni e 11 mesi, che due o tre volte alla settimana caricava il conto della sua “Immobiliare 3 srl” a botte di 50, 60, 80mila euro attraverso assegni o bonifici da altri istituti, e subito dopo li prelevava trasformati in contanti.

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