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Venezia, protesta avvocati per indagine su presidente Camera Penale: “Favorì suo assistito? No, normali funzioni difensive”

Tutto nasce dall'inchiesta sull'avvocatessa Marin per il reato di favoreggiamento di Luciano Donadio, indicato come il boss della camorra che operava nel Veneto Orientale. Così ora i suoi colleghi veneziani sono sul piede di guerra e minacciano di disertare le udienze in segno di protesta per quello che ritengono essere un attentato al ruolo del difensore in un processo penale
Venezia, protesta avvocati per indagine su presidente Camera Penale: “Favorì suo assistito? No, normali funzioni difensive”
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L’iscrizione di un avvocato, difensore di un altro indagato nonché presidente di una Camera Penale, nel registro degli indagati di un’inchiesta riguardante la criminalità organizzata sta provocando l’agitazione degli avvocati veneti. Tutto nasce dall’informazione di garanzia notificata all’avvocatessa Annamaria Marin per il reato di favoreggiamento di Luciano Donadio, indicato come il boss della camorra che operava nel Veneto Orientale, tra Jesolo e San Donà di Piave. Così ora i suoi colleghi veneziani sono sul piede di guerra e minacciano di disertare le udienze in segno di protesta per quello che ritengono essere un attentato al ruolo del difensore in un processo penale. L’avvocatessa Marin assiste, infatti, da anni Donadio e altre persone coinvolte nel blitz culminato nell’arresto di una cinquantina di persone. È sospettata di aver fornito informazioni di cui era entrata in possesso in quanto difensore dell’uomo.

Ma gli avvocati non ci stanno e si sono riuniti in assemblea a porte chiuse a Venezia, contestando pesantemente l’impostazione accusatoria della procura veneziana in quanto i comportamenti della presidente della Camera Penale rientrerebbero nelle “funzioni normali di un difensore” e le notizie della cui divulgazione è stata accusata, sarebbero state già pubblicate dai giornali. Esito dell’assemblea: un documento di solidarietà alla presidente e mandato al direttivo della Camera Penale di proclamare lo stato di agitazione. In un secondo momento potrebbe essere decisa l’astensione dalle udienze. Ma più che allo sciopero, sembrano pensare a un dibattito sui temi del diritto della difesa e del ruolo del difensore penalista. La stessa Marin ha dichiarato ai giornali locali: “Promuoveremo iniziative culturali, convegni a livello regionale e nazionale. Non incideremo sulla regolarità delle udienze. Ma lo stato di agitazione mette al centro il tema dell’attacco alle funzioni difensive e quello di una informazione frutto di una cultura per cui la difesa è un intralcio alla giustizia”.

Severo il giudizio del vicepresidente Marco Vassallo: “Questo è un attacco alla funzione difensiva e l’asservimento all’idea che la difesa nel processo sia un intralcio alla giustizia e che questa sia amministrata dalle procure e non dai tribunali. Dare addosso all’avvocato che intralcia è gravissimo”. Ma la procura non si scompone. Al gip aveva chiesto l’interdizione dalla professione per l’avvocato Marin. Il giudice però aveva respinto la richiesta, motivando la decisione con la “non eccessiva gravità delle condotte, specie sotto il profilo soggettivo, attesa la posizione di storico difensore di Luciano Donadio, ma anche di difensore di altri coindagati e considerato che la pluralità di incarichi professionali assunti era stata tale da provocare inevitabili interferenze e trasferimento di conoscenze”. Il pm Roberto Terzo, titolare dell’inchiesta sulla Camorra in Veneto e Friuli, aveva inserito nel fascicolo un pseudonimo (Clara Abbacci, avvocato, 46 anni, di Caserta), per evitare fughe di notizie.

In realtà il riferimento era all’avvocatessa Marin e l’ipotesi riguardava un presunto aiuto che avrebbe dato, fornendo informazioni riservate agli indagati, per eludere l’inchiesta. A beneficiare dell’aiuto, secondo la procura, sarebbero stati Luciano Donadio, Raffaele Buonanno e Christian Sgnaolin. Un esempio? Nel 2009 aveva assunto le difese di un uomo vicino a Donadio e quest’ultimo le aveva chiesto di essere aggiornato sul caso. Nel 2012, dopo un’udienza del Riesame, aveva informato il fratello di un arrestato che l’operazione rientrava in un’inchiesta più ampia. In un’altra occasione avrebbe assicurato Donadio che uno dei suoi uomini, arrestato, non aveva parlato. Infine, nel 2013 avrebbe informato Donadio dell’esistenza di un’inchiesta per associazione mafiosa ancora segreta.

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