Ci sono voluti tre faldoni processuali e 37 pagine di un capo d’imputazione interminabile, per racchiudere e sintetizzare le “spese pazze” degli amministratori del Consorzio di bonifica Cellina Meduna di Pordenone. Piccola, grande storia di malaffare quotidiano, stando alle quattro condanne per peculato decise dal gup Eugenio Pergola che ha inflitto 4 anni un mese e 10 giorni di reclusione all’ex presidente Americo Pippo, 68 anni, due anni e quattro mesi alla segretaria Daniela Falcone, di 58 anni, due anni e quattro mesi all’ex direttore Marcello Billè e due anni un mese e 10 giorni all’ex direttore Giorgio Maruzzi. Ordinata la confisca di beni e disponibilità bancarie per 139mila euro, oltre a risarcimenti per altri 108mila.

Dalla provincia friulana emerge il quadretto di potere che aveva come protagonista il presidente Pippo, rimasto su quella poltrona dal 1986 al 2014. Esempio di un ruolo pubblico che si era protratto così a lungo da diventare una specie di feudo personale. Ma c’era voluto un esposto, nel 2014, per provocare l’intervento dei finanzieri del Nucleo di polizia tributaria, che avevano sequestrato documenti, ricevute fiscali e scontrini, lavorando per oltre un anno alla ricostruzione di un vortice di spese, incredibile se non altro per la quantità e varietà di voci, anche di modestissimo importo.

Stando alla ricostruzione degli investigatori, nella voce “nota spese” finiva di tutto, dalle consumazioni del bar ad acquisti in gioielleria, da prodotti di erboristeria, dai viaggi, ai pedaggi autostradali e a spese personali. Il tutto non riconducibile all’attività di presidente del Consorzio, o per lo meno non giustificato. Periodicamente il presidente, poi, emanava una delibera di liquidazione di quelle spese, “senza alcun controllo sostanziale” della legittimità delle spese. Spesso sono cifre ridicole, che equivalgono a un paio di caffè al bar, ma che finivano comunque in Economato per essere rimborsate. Dal 2008 al 2014 i decreti di pagamento erano stati 52.

Ecco il campionario, presentato dalla segretaria, asseritamente per conto del presidente. Per pranzi e consumazioni più di 500 ricevute per circa 17mila euro. Dodici gli scontrini di spese in gioielleria, 21 quelli in fioreria, 18 per acquisti di capi di abbigliamento (alcuni solo per donna), quattro le ricevute per parrucchiera da donna (alcune segnate come spese di ristorazione), 11 gli scontrini per “bomboniere e articoli regalo”, sette quelli presso negozi di borse e calzature, 11 gli acquisti per “casalinghi ed elettronica”, 4 per erboristeria o farmacia.

La stessa spesa veniva perfino duplicata, con fotocopie di scontrini o biglietti già liquidati. In qualche caso venivano esibiti scontrini Pos con “transazione negata”. Ma c’è per la segretaria anche un soggiorno in albergo con la figlia, un viaggio di due giorni a Vipiteno (di sabato e domenica, totale pese per 431 euro) e altre spese nella località dove abita il figlio. Un altro capitolo è quello dell’uso di auto del consorzio per fini personali. L’ente pagava tutto, benzina e pedaggi autostradali dando ai due direttori l’uso dell’auto. La condanna dei due ex dipendenti è limitata a queste accuse.

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