Comunicatori pubblici e privati insieme con i giornalisti nell’Inpgi? Non solo. Nell’Istituto di previdenza dei giornalisti potrebbero dal primo gennaio 2019 entrare pure “coloro che svolgono attività, anche di natura tecnico-informativa, inerente la produzione, il confezionamento e la fruibilità di contenuti a carattere informativo diffusi sul web o su altro canale multimediali”. Ovvero informatici, ingegneri, webmaster, pubblicitari, influencer e chi più ne ha più ne metta.

Pur di preservare lo status attuale dell’Inpgi, fondazione privata che gestisce le pensioni dei giornalisti ed è da anni in profondo rosso nella gestione previdenziale, la Lega ha ripresentato venerdì alla Commissione Bilancio del Senato presieduta da Daniele Pesco del M5S un emendamento alla Legge di Bilancio (firmatari i senatori Borghesi, Rivolta, Zuliani e Ferrero) che alla Camera era stato accantonato. Alzando il tiro e allargando la platea dei lavoratori che dovrebbero lasciare l’Inps per confluire nell’Inpgi: dai soli comunicatori pubblici e privati, previsti nella norma messa da parte a Montecitorio, a chiunque sia, appunto, coinvolto nella produzione di informazioni sul web.

Non solo. Nel nuovo emendamento, si prevede anche per l’Istituto dei giornalisti la proroga di un anno per la presentazione del bilancio tecnico-attuariale sulla sostenibilità dei conti a medio-lungo termine (fino a 50 anni), in deroga a quanto previsto dalla legge 509 del 1994 che ha privatizzato le casse dei professionisti, tra cui appunto l’Inpgi. Secondo questa legge, di fronte anche a un solo bilancio in rosso confermato dalle proiezioni tecnico-attuariali, scatta in automatico il commissariamento dell’Ente.

La questione non è secondaria per l’Inpgi che ha già chiuso l’esercizio 2017 con una perdita da 101 milioni di euro, e i conti dell’assestamento 2018, approvati dal consiglio di amministrazione, stimano un rosso da oltre 175 milioni, con previsione di un ulteriore risultato negativo da 181 milioni per il 2019. La nomina di un commissario straordinario è stata scongiurata solo grazie all’ultimo bilancio attuariale che prometteva un recupero della stabilità dell’Istituto per il 2038. Ma che era basato su dati del 2015, che peraltro non tenevano conto dell’andamento dell’occupazione nel mondo dell’informazione giornalistica e solo delle previsioni generali per l’economia italiana.

I nuovi conti sono stati richiesti all’attuario da mesi, ma la loro presentazione è stata finora rinviata. Lo squilibrio tra entrate e uscite previdenziali è però certificato nero su bianco da anni, a partire dal bilancio 2011, quando la perdita era di appena 1,3 milioni di euro. Ma la forbice tra versamenti contributivi e spesa per pensioni si è nel tempo allargata, nonostante la riforma che tra il 2016 e il 2017 ha portato a un aumento delle aliquote contributive a carico di editori e giornalisti e a un taglio dei trattamenti di pensione per i lavoratori.

Lo squilibrio previdenziale è andato aumentando di anno in anno, fino a raggiungere un rosso di 134 milioni nel 2017 e di 167 milioni per il 2018. Per un “buco” totale di 670 milioni di euro. Si aggira proprio tra 600 e 700 milioni di euro la cifra che i sostenitori dell’emendamento della Lega stimano come costo dell’eventuale passaggio dei giornalisti all’interno dell’Inps, contro una diminuzione di entrate di circa 130 milioni per l’Istituto pubblico (cioè per il bilancio dello Stato) se comunicatori e altri lavoratori dovessero entrare nell’Inpgi. Numeri che non tengono però conto del fatto che l’Istituto dei giornalisti ha ancora un patrimonio valutato in oltre 1,7 miliardi di euro, due volte e mezzo più di quanto necessario per le casse dell’Inps per “sopportare” l’ingresso dei giornalisti nella previdenza pubblica.

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