In Australia è stata approvata la controversa legge sulla cifratura dei dati, che fornisce alle forze dell’ordine il potere di intercettare comunicazioni crittografate su applicazioni come Signal, WhatsApp e Wickr. Anche senza espresso mandato di un giudice, i gestori dei servizi dovranno cedere alla Polizia i dati richiesti. Nel caso in cui le informazioni fossero coperte da crittografia (come accade per esempio con le chat di WhatsApp), le aziende dovranno obbligatoriamente fornire anche le chiavi di decodifica.

Tecnicamente la legge si chiama Assistance and Access Act e la finalità ultima è agevolare le indagini, che nell’era tecnologica possono essere ostacolate dall’impossibilità di accedere ai dati digitali. Terroristi, pedofili e criminali organizzati sfruttano le caratteristiche che le app hanno implementato a tutela della privacy, per dialogare indisturbati, senza che alcuno vi possa accedere per prevenire reati o condannare i colpevoli. È con queste argomentazioni che il primo ministro australiano Scott Morrison, e il ministro degli affari interni Peter Dutton, hanno incassato l’ok del parlamento.

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Il dibattito tuttavia non si è smorzato, anzi, è montato in tutto il mondo. Prima di tutto perché crea un precedente: l’Australia è il primo Stato democratico al mondo ad approvare alla luce del Sole un provvedimento simile. Provvedimento che è in discussione anche altrove, ma che ha sempre trovato ostacoli che sembravano insormontabili.

Secondo, per l’applicazione pratica che questa legge comporta. Impone che le aziende installino, senza l’autorizzazione dei cittadini, delle backdoor (letteralmente “porta di servizio”, indica il metodo che permette di aggirare la sicurezza di un sistema, come per esempio una chiave di crittografia) a uso delle autorità. Queste ultime potranno accedere alle comunicazioni dei cittadini ogni qual volta lo ritengano necessario, ossia in caso di crimini. Le aziende hi-tech dovranno obbligatoriamente installare dispositivi e software che gli investigatori possano usare per monitorare le conversazioni. Rifiutarsi di creare le backdoor è illegale, insomma non potrà accadere qualcosa come quello che si verificò negli Stati Uniti dopo la strage a San Bernardino.

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La prima grande obiezione è sul piano etico: la legge di fatto limita il diritto alla privacy, rivedendo l’equilibrio tra libertà individuali e sicurezza pubblica. Non mancano poi le obiezioni sul fronte tecnico. Prima fra tutte, che introdurre una backdoor di fabbrica riduce la sicurezza di tutti. Perché anche nell’ipotesi che tutti gli addetti ai lavori siano degni di fiducia, una backdoor resta un punto di vulnerabilità, e basta una falla affinché prima o poi un criminale riesca a sfruttarla. Esiste un modo per garantire che solo “i buoni” possano sfruttare la backdoor? La risposta è no, e lo dimostra il fatto che molti attacchi informatici sono stati perpetrati usando strumenti che in teoria erano ad uso esclusivo della NSA e di poche altre agenzie nel mondo.

È probabile che le aziende coinvolte, per non parlare di avvocati, attivisti e tecnologi, tenteranno di opporsi alla nuova legge australiana. Non sappiamo né con quali misure, né con quali risultati. L’unica riflessione che si può fare è chiedersi fino a che punto sia accettabile sacrificare la privacy a favore della sicurezza.

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