Liberi e Uguali, da qualche giorno, non esiste più. Sulla carta non è cambiato nulla, perché il gruppo parlamentare alla Camera è ancora lì. E soprattutto perché, da statuto, lo scioglimento dovrebbe essere deliberato dall’assemblea. Ma proprio qui sta il problema: nessuna delle forze che a dicembre 2017 scelsero di dar vita al progetto della lista unica a sinistra sembra più interessata a confrontarsi con le altre. Nell’ultimo incontro nazionale, lo scorso 26 maggio a Roma, si era disegnata una road map che avrebbe dovuto portare alla trasformazione di LeU in partito entro fine anno, con il tesseramento e la discussione in estate e poi il congresso fondativo da tenersi tra ottobre e dicembre. Nulla di tutto questo si è realizzato. Anzi, al posto di un congresso comune, PossibileSinistra Italiana e Mdp-Articolo 1 hanno convocato ognuno la propria assemblea: e tutti e tre, con tempi e percorsi diversi, hanno deciso che non se ne fa più nulla. Al centro dell’intesa impossibile, ingombrante convitato di pietra, c’è il Partito democratico, ex casa di moltissimi tra i maggiorenti di LeU: dagli ex segretari Pierluigi Bersani Guglielmo Epifani all’ex premier Massimo D’Alema, dal già capogruppo Roberto Speranza fino al ribelle Pippo Civati. Senza dimenticare Pietro Grasso, l’ex capo dell’Antimafia che nel 2013 grazie al Pd di Bersani fu eletto alla presidenza del Senato, e poi abbandonò il partito – nel frattempo passato nelle mani di Matteo Renzi – alla vigilia del voto 2018, per assumere la guida del nuovo cartello di sinistra.

I pomi della discordia: il Pd e l’Unione Europea – Il punto è che non tutti gli ex democratici provano gli stessi sentimenti nei confronti della “vecchia ditta”. C’è chi, come Bersani, Vasco Errani e Roberto Speranza – che a febbraio 2017 fondarono il Movimento democratico e progressista/Articolo 1 – si è rassegnato a uscirne solo all’ultimo, dopo anni di opposizione interna a Renzi. Il no dei frondisti al referendum costituzionale segnò la rottura definitiva: ma i bersaniani non hanno mai rinnegato del tutto il Pd, lasciando sempre uno spiraglio aperto alla riconciliazione. Archiviato il renzismo – è il ragionamento – si potrà tornare a parlare. Diversa la posizione di Sinistra Italiana, nata più o meno contemporaneamente a Mdp dall’incontro tra ex democratici (Stefano Fassina, Alfredo d’Attorre, Corradino Mineo) e reduci da Sinistra Ecologia Libertà, l’ex partito di Nichi Vendola, come Nicola Fratoianni e Claudio Fava. Loro, con il Pd, non vogliono più aver nulla a che fare. La segreteria Renzi ha prodotto una mutazione genetica, dicono, trasformando il partito in una forza reazionaria, che va combattuta né più né meno della destra. In questo Sinistra Italiana la pensa come Possibile, il terzo azionista di Liberi e Uguali, che è anche il soggetto politico più longevo dei tre: nacque nel giugno 2015 per iniziativa di Pippo Civati, appena fuoriuscito dal Pd, in cui le feroci prese di posizione contro Matteo Renzi lo avevano reso un corpo estraneo. Dove invece Si e Possibile non vanno d’accordo, ma i civatiani sono molto più vicini a Mdp, è il tema della sovranità. Quasi tutti i seguaci di Civati e di Bersani si dichiarano europeisti. L’Unione va riformata, certo, va strappata alle tecnocrazie, ma fedeltà e appartenenza dell’Italia non sono in discussione. In Sinistra Italiana il panorama è più variegato. Nicola Fratoianni, il segretario, non è pregiudizialmente avverso all’Ue, ma altri – Fassina e D’Attorre su tutti – hanno assunto nel tempo posizioni fortemente euroscettiche. Tanto da fondare, all’inizio di settembre, l’associazione “Patria e Costituzione”, con l’obiettivo di sponsorizzare l’ideologia sovranista a sinistra.

Il flop del 4 marzo e l’apertura del vaso di Pandora – Il caleidoscopio di posizioni e distinguo dentro Liberi e Uguali si era mimetizzato bene fino al voto delle politiche. L’esaltazione per aver trovato l’unità a sinistra, sotto una leadership autorevole come quella di Grasso, fu sufficiente a mettere a tacere i disaccordi già visibili rispetto alle scelte future. Grasso definì il progetto “un’idea visionaria”, con un orizzonte “ben oltre quello delle elezioni”; Massimo D’Alema, da Lucia Annunziata, si spinse a pronosticare per LeU “un risultato a due cifre”. Com’è andata a finire è storia nota: la lista ottenne il 3,39% dei voti alla Camera e il 3,28% al Senato, appena sopra la soglia di sbarramento. I 14 deputati eletti ottennero la deroga per formare un gruppo autonomo, mentre i 4 senatori furono costretti a confluire nel Misto. Il risultato, deludente oltre ogni aspettativa, fece esplodere i mal di pancia da una parte e dall’altra: “Perdiamo perché non rappresentiamo l’alternativa”, si diceva in Sinistra Italiana; “perdiamo perché siamo troppo settari”, rispondevano da Mdp. Le reciproche diffidenze si inaspriscono, l’idea di fondersi in un partito diventa ogni giorno più astratta. Così, in vista delle europee di maggio 2019 – dove lo sbarramento al 4% terrebbe un’ipotetica lista di Liberi e Uguali fuori da Bruxelles – le tre forze iniziano a ragionare ognuna per sé. I bersaniani guardano al Pde al Pse, sperando in una vittoria di Nicola Zingaretti al prossimo congresso dem; Sinistra Italiana e Possibile flirtano con Diem25, il movimento dell’ex ministro greco Varoufakis, e con il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, per costruire il “quarto polo” della sinistra radicale e anti-austerity, collocato nel Gue (il gruppo della sinistra unita a Bruxelles).

Il “quarto polo” tra europeisti e sovranisti – Ma, anche qui, ci sono dei distinguo. “Per noi è fondamentale una precisa scelta di campo in senso europeista”, dice a ilfattoquotidiano.it Beatrice Brignone, segretaria di Possibile. A maggio Brignone ha preso il posto di Civati, dimessosi dopo il risultato del 4 marzo. E, subito dopo, ha annunciato che il partito si sfilava dal processo costituente di LeU. “Abbiamo pagato la mancanza di credibilità, a partire dalle liste per le elezioni, piene di paracadutati: noi di Possibile non abbiamo toccato palla”, spiega. “Un dialogo con il Pd non ci interessa, non torniamo da dove siamo venuti. Guardiamo alla costruzione di un’alternativa, ma non dev’essere in dubbio la permanenza nell’Ue: critici con Bruxelles quanto si vuole, ma sempre europeisti. In questo senso, alcune dichiarazioni di De Magistris mi hanno preoccupato”. Timori non infondati. Basti pensare che Stefano Fassina, il più euroscettico dentro Sinistra Italiana, ha la preoccupazione esattamente opposta: quella che un eventuale lista unica a sinistra non sia abbastanza caratterizzata in senso sovranista. “Bisogna essere molto chiari sulle idee che si portano avanti”, dice a ilfattoquotidiano.it, “i collanti non possono essere solo antifascismo antirazzismo, altrimenti siamo indistinguibili dal Pd. È necessaria un’analisi approfondita dell’ultimo quarto di secolo, che ha visto la sinistra piegarsi all’ideologia del sovranazionalismo e del mercato unico”. Sinistra Italiana si è riunita in assemblea il 27 ottobre e ha approvato un documento in cui denuncia “la sostanziale inerzia” del percorso di LeU, “portato su un binario morto e trascinato in un paralizzante gioco del cerino”, e spinge per la costruzione di un “soggetto alternativo alla coppia dell’austerità Ppe-Pse e alle destre nazionaliste”, insieme a De Magistris.

I bersaniani e la nuova forza “rosso-verde” – Gli ultimi ad arrendersi sono stati quelli di Mdp. Il coordinatore Roberto Speranza, parlando al fatto.it, lo rivendica con orgoglio: “A forza di insistere perché si facesse il congresso di Liberi e Uguali, mi sono trasformato in uno stalker”, dice. “Sarebbe stato l’unico modo per trovare una sintesi tra le diverse idee e andare avanti insieme. Qualcuno non ha voluto, e ne abbiamo preso atto”. Già, perché sabato 10 novembre il coordinamento del Partito ha convocato un’assemblea il 16 dicembre a Roma per dar vita a “una forza autonoma della sinistra e del lavoro, ecologista e popolare, capace di costruire un’alternativa alle destre che avanzano”. Una forza “rosso-verde”, la definisce Speranza. Che nega di aver già pronto l’accordo con i dem per le europee: “Il Pd è un progetto fallito storicamente”, dice al Fatto, “noi non ci facciamo guidare dallo sbarramento. Il nostro obiettivo è distinguerci sia da loro che dalla sinistra antagonista, quella che Si ha deciso legittimamente di voler costruire. E in questo è del tutto indifferente chi vincerà il congresso del Pd”. Con quest’ultima bandiera bianca, il fu Liberi e Uguali è diventato un contenitore vuoto, un simbolo rinnegato dagli stessi partiti che lo hanno messo in campo. E che, con tutta probabilità, alle prossime europee faranno campagna l’uno contro l’altro. Di sicuro più liberi: uguali, questo è certo, non lo sono mai stati.

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