Cucina

Ana Roš, com’è cenare dalla chef migliore al mondo tra divieto d’ingresso ai vegetariani e lingua di manzo con ostriche

di Ernesto Pentaglia

Ora, parto dalle ultime due, che mi sembrano le meno controverse. I piatti di Ana Roš sono elaborati e gli ingredienti, ancorché a volte le verdure provengano dall’orto “di casa”, sono costosi e/o di qualità. Il che significa che prepararli richiede tempo e denaro. Perdere un tavolo, per loro, vuol dire perdere un incasso, in proporzione al totale della serata, significativo.
Se non vi ho convinti con questa semplice argomentazione, vi racconto quello che una volta mi ha raccontato un caro parente che lavora nel mondo della ristorazione. E cioè che “va di moda”, tra i maleducati d’oggi (che pare siano tanti, ma io questo non lo so) prenotare, per la stessa sera, 3-4 posti diversi. Gli intrepidi, poi, si trovano prima di cena, magari a fare l’aperitivo, e decidono dove andare. Lasciando “scoperti”, ovviamente, gli altri ristoranti che avevano prenotato. Morale della favola: Ana Roš  fa benissimo così.
Ah, dimenticavo. Se si arriva in ritardo di 30 minuti? Io mi presento, sempre, con un anticipo di 5-10 minuti. Non è difficile (basta prepararsi prima) e non è una malattia: mi piace fare le cose con calma e osservare il locale in cui passerò un paio di ore della mia vita.

Torniamo, ora, al secondo e al terzo punto. Nella fase di mailbombing con cui il locale si premura di comunicarti le proprie regole, ci sono queste: “Non possiamo modificare menù per vegetariani (senza pesce) e vegani” (aspetto su cui c’è poco da aggiungere). E “il menù può essere adattato secondo una delle seguenti restrizioni (non combinate): senza glutine, senza lattosio, senza molluschi ecc.ecc.”. Il che significa che se una persona ha una o più allergie, anche qui, sono problemi. Vi lascio alle vostre elucubrazioni (io, tendenzialmente, sto con Ana Roš, per il semplice fatto che è casa sua e decide lei che fare; dopodiché, se fossi vegetariano o vegano o avessi intolleranze alimentari, mi girerebbero un po’ le scatole) e passo, finalmente, ai piatti.

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