Il decreto Genova diventa legge, ma subito dopo averlo approvato il Senato va in frantumi. Uno scontro tutti contro tutti che non c’entra niente col merito (poiché provocato dalle tensioni tra i partiti) e che – anzi – non tiene conto del merito, cioè della necessità di un diverso ordine quando ci si occupa di certe questioni, come il crollo di un ponte che ha causato 43 morti. Grida, cori, cartelli, gesti di esultanza, volti arrossati, vene ingrossate. “Quei 43 morti pesano sulla coscienza di tutti: francamente avrei desiderato un Aula diversa”, dice sconsolata la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati alla fine della seduta, subito prima di invitare l’assemblea a un minuto di silenzio.

Sotto accusa è finita la stessa gestione dell’Aula da parte della Casellati: “Se ci fosse stata un po’ più di gestione dei vari gruppi, senza escandescenze nelle discussioni – dice per esempio il viceministro dei Trasporti, il leghista Edoardo Rixi – probabilmente anche le espressioni da parte del governo non ci sarebbero state, mentre c’è stato un crescendo wagneriano in Aula che a mio avviso non fa onore a nessuno”. Il decreto alla fine è passato con 167 sì, 49 no e 53 astenuti (Forza Italia e il fondatore della Lega, Umberto Bossi). Tra i favorevoli ci sono anche i Fratelli d’Italia, ma non il senatore M5s Gregorio De Falco che questa volta però non l’ha fatto apposta: credeva che la seduta fosse sospesa ed è corso per cercare di arrivare in tempo, ma invano. “Tutto sommato meglio così. Evidentemente era destino, il fato…”. E ci sono altri 9 senatori Cinque Stelle che non hanno preso parte al voto. Tra loro la dissidente Elena Fattori, che è malata ma non avrebbe comunque partecipato al voto in dissenso con il gruppo, Vittoria Deledda Bogo (in congedo), Saverio De Bonis, Luigi Di Marzio, Michele Giarrusso (anche lui malato), Cinzia Leone, Saverio De Bonis e i pugliesi Alfonso Ciampolillo e Mario Turco.

Il primo commento sulla loro assenza è arrivato dal capogruppo M5s Stefano Patuanelli: “Ci sono delle regole di gruppo che vanno rispettate e come capogruppo, chiedo di rispettarle. Però è ovvio che un voto mancato a questo provvedimento, così come un voto mancato alla fiducia, ha una potenza diversa ché un provvedimento con meno impatto sui cittadini”. Poi ha chiarito: “Per noi la gravità sta nel fatto che si è messo a repentaglio un decreto che da risposte ai cittadini”. Saranno presi provvedimenti verso i senatori ‘ribelli’? “Lo vedremo, al momento nulla è definito”, si è limitato a dire Patuanelli che poco prima aveva incontrato per caso De Falco davanti ai cronisti. Il capitano di fregata ha spiegato che il colloquio non ha riguardato il dl Genova: “Abbiamo parlato di tutt’altro. Sono rimasto sorpreso anche io”, afferma. “Disattendere un ordine è consentito anche dal codice militare – ha aggiunto – che lo prevede quando ci si trova di fronte ad una palese ingiustizia o un atto anche solo illegittimo”. 

video di Alberto Sofia

La bolgia in Aula, nei minuti precedenti, è esplosa soprattutto quando il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli ha alzato il pugno in Aula, dai banchi del governo, per esultare dopo che ha visto che il decreto era passato. L’ultimo gesto, secondo le opposizioni, di mancanza di rispetto nei confronti della tragedia di Genova. Alla vista del pugno si scatena soprattutto Forza Italia che denuncia la cosa alla presidente Casellati, costretta a sospendere la seduta per la confusione e le urle belluine. Ad accusare Toninelli, in particolare, è la capogruppo di Forza Italia Anna Maria Bernini, che ha rinfacciato al ministro di “aver sollevato il pugno durante la votazione, parlato al telefonino e masticato la gomma americana durante le dichiarazioni di voto”. “E’ inaccettabile e indecente quello che ha fatto il ministro Toninelli – ha aggiunto – Non gli chiediamo di condividere o comprendere quello che stiamo dicendo, ma ascolti e dia il buon esempio alle scolaresche che ci stanno guardando. Ministro, non venga più in Aula ad alzare i pugni”. Il capogruppo del Pd Andrea Marcucci, invece, se l’è presa con la stessa Casellati che – per il democratico – non avrebbe fatto nulla per sanzionare lo stesso Toninelli e la ministra del Sud Barbara Lezzi tra gli altri “accusati” dalle minoranze. Marcucci ha chiesto alla Casellati “di chiudere con dignità questa seduta con un minuto di silenzio per i morti di Genova”. Una tensione che si trasmette, a sorpresa, perfino nella dialettica tra la stessa Bernini e la Casellati, entrambe storiche esponenti di Forza Italia. Al coro “dimissioni” dai banchi degli azzurri, in particolare, la Casellati ha più volte ripetuto “Non vi fa onore”, uno dei tanti modi in cui ha cercato di placare i gruppi. “Ora basta, non siamo in un asilo“, ha ribadito.

Altra diavolina è arrivata con l’intervento dello stesso ministro Toninelli: “In questa Aula c’è qualche responsabile che ha permesso ad Autostrade di ingrassare i propri bilanci: non replico a chi mi ha attaccato personalmente” ha scandito, puntando il dito contro i “responsabili” di una “tragedia evitabile“. “Non replicherò a coloro che mi hanno attaccato personalmente perché – precisa – uno è stato già mandato a casa dagli italiani” e l’altro ha ricevuto a Genova un rinvio a giudizio per peculato”. Il riferimento, verosimilmente, è rispettivamente all’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi (intervenuto in Aula a nome del Pd) e all’ex governatore della Liguria Sandro Biasotti, che ha preso la parola per Forza Italia: entrambi avevano criticato in modo molto severo il ministro. 

Toninelli ha ricordato che il provvedimento per Genova stanzia 300 milioni di euro per Genova e i genovesi “e chi oggi ha gioito l’ha fatto per i cittadini di Genova e per le 266 famiglie che hanno perso casa e che da domani avranno soldi stanziati per comprare finalmente una nuova abitazione”. A difendere Toninelli, in Aula, è stato anche il capogruppo dei Cinquestelle, Stefano Patuanelli: “Un piccolo gesto di giubilo da parte di un ministro dopo approvazione di un decreto così importante credo che sia più che tollerabile: Toninelli non ha fatto gesti né volgari né inopportuni”. E, rispondendo alla Bernini, il presidente dei senatori grillini ha detto che “non si ascolta con le mani, non si ascolta con gli occhi, ma con le orecchie”.

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