Nel referendum proposto dai radicali non c’è un atteggiamento punitivo nei confronti dell’Atac, anzi. C’è la presa d’atto che a Roma, e in tutta Italia, i disastrati trasporti locali hanno bisogno di nuove regole, responsabilizzanti, per il rilancio del trasporto pubblico. Il Tpl ha bisogno di imprese vere di trasporti (pubbliche o private) e non di cinghie di trasmissione del consenso attraverso metodi consociativi e clientelari. Fare le gare per l’affidamento del servizio dove è gestito in monopolio per le imprese pubbliche significherebbe rompere con un passato che è stato teatro di malagestione, illegalità, nessuna trasparenza, alti costi, inefficienze che alla fine hanno penalizzato i cittadini e le casse pubbliche (disservizi, uso smodato dell’automobile, inquinamento e congestione e incidenti in città). Fare le gare anche dove c’è una gestione di privati garantita significherebbe svegliare imprese che, pur non avendo i problemi di bilancio dell’Atac o di altre aziende pubbliche, dormono sonni tranquilli visti i robusti contributi pubblici assicurati, senza che ci siano particolari richieste di miglioramento della qualità dei servizi. Basta vedere i diversi approcci di imprese straniere come la pubblica “Arriva”, di proprietà delle Ferrovie tedesche, ai loro servizi offerti in Italia e in altri Paesi europei.

Insomma, le gare (fatte da una stazione appaltante che tutela gli intessi pubblici) tutelano a monte gli interessi dei cittadini e delle casse pubbliche, a prescindere da chi le vincerà, che verrà sottoposto a controlli e pianificazioni gestiti da un’Autority dei trasporti. Sorprende inoltre che il sindacato si ponga in contrasto verso il processo di liberalizzazione (da non confondere con la privatizzazione) proposto dal referendum, processo che in tutta Europa ha cambiato volto al Tpl rendendo le città più vivibili e meno inquinate. Fare la gara per l’affidamento del servizio è dare un taglio al consociativismo proposto dalle amministrazioni comunali che si sono succedute e da politiche clientelari degli anni 70, quando i trattamenti contrattuali crescevano con l’imminenza delle elezioni locali.

In molti fanno confronti tra le pessime performance economiche e gestionali di Atac con altre aziende municipalizzate. Per esempio, la Tper Bologna copre con i ricavi da tariffa il 62,3% dei suoi costi, l’Atm Milano è al 62,1%, mentre Atac di Roma non arriva alla soglia minima di legge del 35% e si ferma a 34,7% e il Cotral, il consorzio romano che gestisce le linee extraurbane, è addirittura al 19,3%. Oltre ad alcuni casi del nord, quasi tutto il sud è sotto la soglia del 35%. Risultato: alti costi e alto impegno di spesa pubblica, ma basso risultato in termini di passeggeri trasportati visto che sono prevalenti le imprese pubbliche. Quindi anche bassa produttività sociale dei soldi spesi. Spesso si confrontano Atac e Atm senza ricordare che l’Atm garantisce la copertura di un’area di 657 chilometri quadrati e ha un parco vetture di poco meno di 2mila mezzi (di cui 1385 bus) a fronte dei 2400 di Atac (di cui 2085 bus) che però deve coprire oltre 1300 chilometri quadrati di area (il doppio). Atac di fatto gestisce un perimetro di territorio grande quanto l’area metropolitana di Milano. Area lasciata a piedi dall’Atm che beneficia di una concentrazione della domanda di trasporto sia per la sua gestione municipale (esce poco dai suoi confini) che dal fatto che il 40% dei suoi passeggeri sono una domanda aggiuntiva che arriva dall’hinterland.

A chi lamenta che un eventuale affidamento del servizio romano a un’azienda privata ci farebbe correre il rischio di ripetere l’errore fatto con la concessione affidata ad Autostrade per l’Italia nel settore autostradale, è bene ricordare che Anas (totalmente pubblica) gestisce peggio alcune autostrade meridionali ben più giovani della rete Aspi. Insomma, il problema che ci viene proposto con il referendum è: vogliamo che l’affidamento dei servizi pubblici venga regolato dai soggetti pubblici attraverso meccanismi competitivi o vogliamo continuare con poco trasparenti e poco responsabilizzati affidamenti diretti dopo salvataggi mirabolanti di imprese decotte? E a bruciare ricchezza pubblica?

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Deficit strutturale italiano, una questione di stime. E di stima

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