Partiti in cerca di un lavoro. Gli emigranti esistono anche in Italia. Vanno verso il nord del Paese, verso l’Europa, verso l’America. Lasciano la famiglia come a inizio Novecento, con una ideale “valigia di cartone”. Ecco alcune delle loro storie raccontate a valigiadicartone.ilfatto@gmail.com

Sono passati due anni e un mese da quando sono stato costretto a lasciare ancora una volta il mio piccolo paese: Blera, in provincia di Viterbo. Era il 25 agosto del 2016 quando una cooperativa sociale mi offrì un colloquio conoscitivo per una posizione lavorativa come insegnante d’italiano per stranieri, migranti per l’esattezza. Dopo la laurea in Servizio sociale all’Università di Perugia nel 2014, ho deciso di specializzarmi con un Master di 1° livello in “Didattica dell’Italiano lingua non materna”. E grazie a questo titolo mi hanno chiamato per ricoprire questo ruolo a Bolzano.

All’inizio del 2016 avevo tentato un’altra via di fuga dal piattume lavorativo della mia terra. Direzione Edimburgo, Scozia. Per varie ragioni sono tornato sui miei passi, soprattutto dopo aver ricevuto una proposta di lavoro vicino casa, sempre in ambito immigrazione. Finita male appena cinque mesi dopo. Niente stipendio, contratto finto e ore, giorni, settimane di lavoro perse a rincorrere un obiettivo finale chiamato integrazione, dove l’unica opportunità per gli ospiti del centro era quella di ambire ad una giornata di lavoro nei campi a dieci/quindici euro al giorno.

Tornando all’offerta di lavoro per Bolzano, ero pronto a partire ancora una volta: la prima in assoluto era stata per l’Erasmus in Spagna nel 2012, poi dopo laurea e Master per la Scozia, e adesso per lavoro, nella speranza di trovare una soluzione migliore. Fatta di persone competenti, soprattutto ai vertici degli enti gestori, che potessero garantire i servizi per una giusta ed equa integrazione sul territorio.

Mentre ve lo racconto guardo il calendario e penso a come passi veloce il tempo. Mi trovo a casa, nel mio Paese, dove vedo coetanei creare una famiglia, anche se tra mille difficoltà. Conoscenti arrancare e sottomettersi ad orari di lavoro usuranti, poco retribuiti e spesso non regolamentati da un contratto di lavoro. Io sono a casa in attesa di un nuovo cambio, mi sono licenziato dall’ennesima cooperativa per accettare un lavoro come educatore nelle scuole per il prossimo anno scolastico. In questi due anni ho accumulato competenze, parlato inglese e francese, ho ascoltato i racconti toccanti degli ospiti dei centri per cui ho prestato servizio, mi sono messo nei loro panni.

E penso a quanto noi giovani italiani siamo paradossalmente simili a chi scappa dal continente africano. Scappiamo alla ricerca di un futuro migliore, ma non da una guerra o da una persecuzione; scappiamo dall’ignoranza e dall’incompetenza che spesso affligge le nostre terre, ma non da un dittatore; scappiamo per darci una possibilità, ma ora non potremo più paragonarci agli africani. Il decreto Salvini abolisce la protezione umanitaria, manca di rispetto verso i diritti fondamentali dell’uomo e partire ancora una volta, anche per me, ha il sapore di adesso o mai più.

Nicola C.

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