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‘Ndrangheta, colpo ai Barbaro-Papalia: 14 arresti tra Milano e Reggio Calabria. “Clan gestiva una rete di pusher marocchini”

Le indagini sono dirette dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano e hanno consentito di accertare che il gruppo, costituito e organizzato da quattro fratelli della famiglia Barbaro-Papalia, gestiva lo spaccio di cocaina servendosi di una fitta rete di pusher di origine magrebina
‘Ndrangheta, colpo ai Barbaro-Papalia: 14 arresti tra Milano e Reggio Calabria. “Clan gestiva una rete di pusher marocchini”
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Quattordici arresti per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Nuovo colpo alla cosca di ‘ndrangheta Barbaro-Papalia. I carabinieri della compagnia di Corsico stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare a Milano, Como e Reggio Calabria: le persone citate nell’ordinanza sono dieci di nazionalità italiana e quattro marocchina. Le indagini sono dirette dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano e hanno consentito di accertare che il gruppo, costituito e organizzato da quattro fratelli della famiglia Barbaro-Papalia, gestiva lo spaccio di cocaina servendosi di una fitta rete di pusher di origine magrebina.

Rocco Barbaro, ritenuto il reggente della ‘Lombarda‘, la struttura di vertice della ‘ndrangheta in Lombardia, oltre che a essere considerato il boss del narcotraffico tra Italia e Sudamerica èsoprannominato ‘U sparitu‘, perché rimasto latitante per quasi due anni prima di essere arrestato a Platì, in provincia di Reggio Calabria nel maggio 2017: è stato condannato a 16 anni di carcere il 10 ottobre scorso. 

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La sentenza, emessa dall’ottava sezione penale milanese, in particolare, lo ha riconosciuto responsabile di associazione mafiosa e di intestazione fittizia di beni perché a lui era riconducibile il Bar Vecchia Milano in corso Europa, a pochi passi dal Duomo che avrebbe acquistato attraverso lo schermo di prestanome. Rocco Barbaro è figlio di Francesco Barbaro, capo dell’omonima cosca di Platì e che sta scontando in carcere una condanna all’ergastolo per l’omicidio del brigadiere Antonino Marino, avvenuto a Bovalino, in provincia di Reggio Calabria, nel 1990.

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