Entro il 2030 l’Intelligenza Artificiale avrà creato un giro d’affari da 13 trilioni di dollari (13 miliardi di miliardi). Lo suggerisce un recente studio del McKingsey Global Institute (MGI), sviluppato proprio per comprendere il potenziale impatto dell’AI sull’economia globale.

Un generico e sostanzioso aumento del PIL globale appare senz’altro come una buona notizia, ma lo studio prende in considerazione luci e ombre di questa nascente rivoluzione. Come aveva già suggerito lo studioso Kai-Fu Lee (tra gli altri), anche MGI segnala il pericolo di divari e ineguaglianze in aumento, e la necessità di affrontare l’emergenza lavorativa con la riqualificazione; lo stesso principio era stato sottolineato pochi giorni fa dal World Economic Forum.

MGI divide le aziende in tre grandi categorie: i front-runner, quelle che stanno già adottando la AI e la sfrutteranno al massimo nei prossimi anni. I follower, che partiranno in ritardo ma riusciranno a raccogliere qualcosa. E i ritardatari, che si faranno sfuggire questa occasione e registreranno perdite importanti entro il 2030. Sostanziale anche la differenza tra chi saprà assorbire tutte e cinque le categorie di AI (computer vision, natural language, virtual assistants, robotic process automation, advanced machine learning) entro la data indicata, e chi invece riuscirà solo a iniziare la sperimentazione con una o due di esse.

Si tratta di differenze enormi: stando alla simulazione di MGI, infatti, entro il 2030 meno della metà delle grandi aziende del mondo avrà assorbito tutte e cinque le categorie di AI. Questo darà ai front-runner un vantaggio probabilmente impossibile da recuperare per tutti i concorrenti. In altre parole, colossi come Google, Apple, Microsoft, Shell e così via si ritaglieranno una posizione ancora più solida, usando l’AI per rendere la concorrenza sostanzialmente impossibile.

La crescita non sarà lineare ma esponenziale: all’inizio potrebbe apparire relativamente lenta, per poi esplodere nell’ultima parte del periodo preso in considerazione. La crescita registrata nel 2013 potrebbe essere superiore di tre o più volte rispetto a quella del periodo 2019-2024.

Il McKingsey Global Institute ha esaminato il potenziale impatto della rivoluzione AI da tre diversi punti di vista: sui paesi, sulle aziende e sui lavoratori. Nel primo caso, l’istituto registra un potenziale aumento del divario tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, con i primi che potrebbero assorbire fino al 25% in più dei benefici economici.

I paesi più ricchi, si legge sul documento, “potrebbero non aver scelta se non scommettere sull’AI per incrementare la crescita, a fronte di un rallentamento nell’aumento del PIL e rispondendo in parte alla sfida di un’età media in aumento. Inoltre in questi paesi le buste paga sono alte, il che significa una maggiore incentivo a sostituire il lavoro umano con le macchine rispetto ai paesi in via di sviluppo”.

Nei paesi meno ricchi e in via di sviluppo invece succede l’esatto contrario, con una minore spinta a investire sull’Intelligenza Artificiale. “I paesi in via di sviluppo hanno altri strumenti, come adottare best practices o ristrutturare il settore industriale per aumentare la produttività. Quindi ci sono meno incentivi a spingere sull’AI”. A lungo termine, tuttavia, queste differenze potrebbero creare una distanza incolmabile tra paesi dotati di una forte “economia AI” e altri che ne sono privi.

Simile il panorama se si guarda alle aziende: le previsioni parlano di una distanza in aumento tra i front-runners (le aziende che investono già ora in AI e che completeranno per prime il processo) e tutte le altre. I primi arrivati potrebbero persino raddoppiare il cash-flow, mentre gli altri potrebbero dover far fronte a una riduzione anche del 20%.

Lo sguardo sui lavoratori fa eco all’analisi del World Economic Forum: le attività ripetitive sono quelle più a rischio, con una riduzione dei posti disponibili e una stagnazione dei compensi. In crescita invece il lavoro per quei profili che richiedono abilità sociali e cognitive, con stipendi in crescita fino al 13%.

Le conseguenze possibili includono la nascita di una vera e propria guerra per il lavoro tra le figure qualificate, il cui esito è difficile da prevedere. All’altro estremo c’è però la maggior parte della popolazione, che non ha le competenze necessarie né avrà possibili sbocchi lavorativi – o ne avrà molti di meno.

Sommando queste due tendenze MGI afferma che “in generale l’adozione e l’assorbimento dell’AI potrebbe non avere un impatto significativo sul numero netto di impieghi. L’impatto potrebbe essere più limitato rispetto alle paure di molti”. Vale a dire che potrebbe non esserci quella emorragia di posti di lavoro che temono alcuni, ma il pericolo esiste e va affrontato.

“Gli amministratori dovranno mostrare forti capacità di leadership per far fronte al comprensibile malessere tra i cittadini riguardo alla minaccia percepita verso i loro lavori, mentre l’automazione si diffonde. Anche le aziende avranno un ruolo importante nella ricerca di soluzioni all’enorme compito di formare e riformare le persone.”

Ognuno di noi in ogni caso dovrà “adattarsi al nuovo mondo“. Un mondo dove si cambia lavoro più spesso, e dove un cambiamento può anche essere radicale: non il semplice cambiare azienda ma fare la stessa cosa, oppure passare a un’attività anche molto diversa. Per questo sarà necessario saper “aggiornare continuamente le proprie competente per rispondere ai bisogni di un mercato del lavoro che cambia dinamicamente”.

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