“Una lunga, consolidata e diffusa prassi di assenteismo ingiustificato, realizzato attraverso un sistematico ed ingegnoso aggiramento delle regole che disciplinano il rapporto di pubblico impiego”. Con questa motivazione il gip di Massa Alessandro Trinci ha deliberato l’arresto per 26 dipendenti della provincia di Massa Carrara e del Genio Civile di Massa, mentre per altri 3 è scattata la misura cautelare del divieto di dimora. In tutto sono 70 gli indagati dal procuratore capo di Massa Aldo Giubilaro e dal sostituto Roberta Moramarco: impiegati pubblici che in un arco di tempo molto lungo (da ottobre 2016 a maggio 2018) sono stati monitorati mentre “sottraevano 2600 ore di lavoro alla pubblica amministrazione, cagionando un esorbitante danno erariale nonché disservizi ai cittadini e nocumento al corretto andamento e buon funzionamento” degli uffici pubblici. In tutto si tratta di almeno 5mila episodi di assenze. E non solo: gli indagati avrebbero manifestato “uno spiccato senso di impunità tanto che, nonostante i chiari segni di una inchiesta penale in corso, “dopo una iniziale limitazione o interruzione dell’attività delittuosa, hanno ripreso con regolarità le loro condotte decettive e truffaldine nei confronti dell’Ente di riferimento”.

In particolare, spiegano gli inquirenti, gli stratagemmi adottati per assentarsi dal luogo di lavoro consistevano in timbrature omesse o simulate, effettuate in luoghi non autorizzati o tramite familiari o colleghi compiacenti, e false certificazioni. L’operazione di questa mattina ha visto impiegati 110 militari e ha portato anche a una serie di perquisizioni nelle abitazioni degli arrestati, a Massa, a Carrara, Montignoso, Sarzana, Viareggio e Pisa. Tra i colpiti dalle misure cautelari il comandante della Polizia provinciale, l’autista del presidente della Provincia e un messo notificatore dello stesso ente.

L’inchiesta è partita due anni fa dopo la segnalazione di un dipendente a un carabiniere sul doppio lavoro di un collega, finendo per scoprire un fenomeno più esteso e che le ragioni per le assenze era le più varie come andare a fare la spesa o al mercato, accompagnare i figli a scuola, partecipare a messe e funerali e in due casi per svolgere un altro lavoro: uno degli arrestati avrebbe aiutato la moglie nella tabaccheria di famiglia, un altro nel bar (sempre di proprietà) a pochi passi dallo stesso palazzo della Provincia. E’ emerso anche che le auto di servizio, anche quelle della polizia provinciale, venivano usate per spostamenti privati e commissioni di ogni genere. Quanto alle modalità delle assenze, succedeva che le missioni realmente commissionate dagli enti, anche fuori provincia, come sopralluoghi e riunioni, duravano sempre molte ore più del tempo effettivamente trascorso fuori per lavoro. Oppure i dipendenti coinvolti timbravano il cartellino per uscire a prendere un caffè, rimanevano nei paraggi pochi minuti poi timbravano nuovamente fingendo di essere tornati in ufficio mentre uscivano ancora, anche passando da porte secondarie, per stare fuori ore. Nel corso dell’inchiesta c’è stata anche una fuga di notizie, dopo un anno di indagini, sulle telecamere piazzate dai carabinieri negli uffici pubblici: alcuni dipendenti si sarebbero spaventati interrompendo le assenze (sono gli indagati non raggiunti da misura cautelare), altri avrebbero invece reiterato il reato per quasi un altro anno.

La Regione Toscana ha deliberato in una riunione tenuta questo pomeriggio che saranno licenziati senza preavviso i dipendenti regionali per i quali risultasse accertata la falsa attestazione della presenza in ufficio. Alcuni tra gli indagati, infatti, con il trasferimento di competenze dalle Province alle Regioni erano passati alle dipendenze dell’amministrazione regionale. I sindacati del pubblico impiego esprimono fiducia nella magistratura e affermano che si tratta di comportamenti, se confermati, “intollerabili” e “da condannare“.

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