L’attribuzione spontanea (ma inevitabilmente prepotente) nella relazione con l’altro di significati solo nostri ai suoi atteggiamenti e comportamenti, è la prima causa di incomprensione nelle relazioni. La comprensione è il più importante fattore protettivo e curativo in ogni tipo di relazione, la psicoterapia cura attraverso di essa, mentre l’incomprensione è uno dei maggiori limiti e ha il potere di far terminare anche i rapporti più consolidati. Tutti abbiamo esperienza dell’una e dell’altra, ma non sono sicuro di quanto consapevolizziamo la funzione di collante emotivo che può avere l’una o di rottura dell’altra.

Credere che l’altro la pensi come noi è una tendenza comune, peggio ancora convincersi che l’altro la debba pensare come noi o debba arrivare a farlo, qualora esprima un’opinione diversa. Ad esempio, quando si parla di politica e religione, campi dove spesso si scontrano visioni differenti, quello che portiamo avanti sono le nostre convinzioni a scapito di quelle altrui. Trasformiamo un bisogno in un pensiero, poi in una convinzione, infine in un credo o in un’ideologia, cioè qualcosa che deve essere giusto a priori, assolve la funzione di identificarci, di conseguenza l’intento è salvaguardare la nostra identità ormai appiattita su determinate convinzioni immutabili nel tempo, anche se logica e fatti remano contro.

Certo, c’è chi è in grado di cambiare idea e non farsi imprigionare, c’è chi ammette di aver sbagliato o che le cose non sono più quelle del passato, di conseguenza bisogna operare dei cambiamenti. Ma nell’era del web per tutti la competizione è spesso sovrana, l’elasticità mentale è tipica di chi ha una cultura e un’intelligenza emotiva e questi quando si apre un account su un social network non sono requisiti richiesti, anche se in molti sono convinti di possederli. Per fortuna che in questo campo le autocertificazioni non sono previste, almeno per ora.

Di fronte all’incomprensione si hanno due possibilità: fare retromarcia, riesaminare la propria e altrui posizione e vedere se si arriva ad un risultato diverso e, qualora così non fosse, accettarlo  proponendo un compromesso o avviando una separazione, oppure andare avanti, insistere, credersi detentori della verità e arrivare allo scontro. Personalmente parteggio per la prima possibilità, ma ad ognuno il suo.

L’atteggiamento e il comportamento dell’altro non possono che essere visti con gli occhi di chi li guarda, ma non necessariamente l’interpretazione che ne dà è corretta, anzi si deve partire proprio da questo elementare presupposto che l’essere umano non si limita a osservare, ma spesso e volentieri dà un’interpretazione di quello che osserva e subito dopo ci affianca una valutazione che può essere in linea o meno con i suoi valori, la valutazione è quindi positiva se mi conferma in quello che penso, negativa se invece non lo fa.

Non capiamo che metterci in crisi è la più grande opportunità che l’altro possa regalarci e, se siamo chiusi alla crisi, lo siamo alle relazioni più autentiche, quelle che cercano l’incontro e non lo scontro o l’appiattimento. La prova più grande che la nostra autostima possa sostenere è quella di potersi districare nel difficile equilibrio tra il bisogno dell’approvazione altrui e il nostro sentire che non deve necessariamente dipendere da quest’ultimo, ma che anzi se ne deve spesso difendere.

Vignetta di Pietro Vanessi

 

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