Sicuramente la Procura di Genova, che si è mostrata da subito molto determinata e saggia, si avvarrà con attenzione di professionisti adeguati ed all’altezza, per il delicato compito di stabilire le cause del crollo del viadotto Morandi.

Perché il ruolo delicatissimo di perito e Ctu (i periti terzi nominati dal giudice), sancito dall’articolo 14 delle Disposizioni del Codice di procedura civile, deve prevedere una speciale competenza tecnica in una determinata materia: tali esperti sono iscritti in un apposito albo, tenuto dal presidente del tribunale che prende tutte le decisioni relative alla loro ammissione con l’ausilio del procuratore della Repubblica e di un professionista iscritto all’albo professionale. Quest’ultimo viene designato dal Consiglio dell’ordine o dal collegio di categoria a cui appartiene chi richiede l’iscrizione.

Ogni quattro anni (ogni due in materia penale), il Comitato procede – o meglio dovrebbe – procedere ad una revisione dell’albo per eliminare i consulenti per i quali è venuto meno uno dei requisiti previsti per l’iscrizione o è intervenuto un impedimento a esercitare l’ufficio. Per ottenere l’iscrizione è necessario, oltre alle già evidenziate competenze tecniche, essere di condotta morale specchiata ed essere iscritti nelle rispettive associazioni professionali.

Trattandosi di un ausilio tecnico per il quale è fondamentale il rapporto fiduciario, il giudice ha la facoltà di nominare anche esperti non compresi nell’albo del tribunale, o persona non iscritta in alcun albo, e che non abbia conflitti d’interesse. Ma deve motivare la decisione.

Potrebbe essere il caso della Procura di Genova che, stante l’eccezionalità del caso, ha l’esigenza di avvalersi di esperti di chiara fama e non necessariamente pescati nell’apposito albo. Da tempo si dibatte, in situazioni per fortuna meno eclatanti e complesse, sul ruolo dei periti nelle cause di tribunali e corti d’Appello, dove rendite di posizione di alcuni soggetti – ritenuti erroneamente esperti – portano a superficiali relazioni da parte dei Ctu.

Importante notare che il giudice è definito il peritus peritorum, per cui con un minimo di applicazione e con un’attenta lettura delle carte, cosa che alcuni giudici scrupolosi fanno, potrebbe arrivare a sentenza senza l’ausilio dei cosiddetti esperti.

La furia dei mestieranti delle perizie comporta grossolani errori di valutazione. Due mesi fa è stata organizzata dal tribunale di Torino una giornata di studi dal significativo titolo: “Quando il perito sbaglia”, evento riferito essenzialmente alle categorie dei tecnici edili. Quando la perizia viene assunta come unica prova dal giudice, si può incorrere in veri e propri errori giudiziari dai possibili effetti devastanti per i cittadini coinvolti che vedono vanificare la loro speranza di ottenere giustizia.

Di questo problema si è occupato molto l’architetto Fabrizio Pistolesi, membro del Consiglio Nazionale di categoria, prendendo in considerazione molti tribunali e arrivando a stilare un documento di lavoro. Una vera e propria operazione di “bonifica” era stata iniziata negli anni precedenti dal tribunale di Roma di concerto con gli Ordini del Lazio, che aveva monitorato situazioni patologiche di affidamenti reiterati di incarichi al limite del grottesco. Ma, aggiunge Pistolesi, “sparare su consulenti incapaci è come sparare sulla Croce Rossa, la crisi ha portato molti tecnici a cercare un minimo di lavoro nei tribunali, senza rendersi conto che è un lavoro di altissima specializzazione”.

Questo malcostume non è confinato in una sola regione o città (a Roma però è stato risolto), casi analoghi a Torino e altre città, dove architetti, geometri ed ingegneri, che non si sono particolarmente distinti per curricula eccelsi, pubblicazioni, docenza, si accaparrano il 70% del lavoro degli iscritti negli albi dei Ctu, veri e propri Tersilli delle perizie. Occorre anche rilevare che quello del perito o Ctu non è un mestiere ma un ruolo che deve essere assegnato a rotazione a professionisti particolarmente esperti in uno specifico settore. Stupiscono i risultati di un’indagine fatta a cura del Consiglio nazionale degli Architetti, con il supporto dei 105 ordini provinciali, che evidenzia comportamenti assolutamente eterogenei nei vari tribunali italiani.

Qualche esempio solo per far capire l’entità della problematica: meno del 50% dei tribunali tengono i Comitati in maniera collegiale dove tutti i rappresentanti dei vari ordini e collegi stabiliscono norme comuni di comportamento; da alcuni tribunali viene richiesto un minimo di anni di iscrizione all’albo professionale che varia da zero a dieci; pochissimi tribunali hanno statuito regole omogenee ed oggettive sulla speciale competenza del candidato nelle specifiche materie; un numero esiguo di tribunali conferisce al Comitato la responsabilità di decidere su comportamenti deontologicamente scorretti dei consulenti e sulle relative sanzioni; pochissimi tribunali hanno predisposto strumenti informatici per consentire al presidente del tribunale di vigilare affinché, senza danno per l’amministrazione della giustizia, gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti nell’albo, come prescritto dall’art. 23.

Quello del perito e Ctu pertanto dovrebbe essere solo ed unicamente un ruolo, non un mestiere. E dovrebbe essere riservato a chi ha dimostrato nella sua vita professionale capacità, etica, studio e competenza per la materia per cui è chiamato ad esprimersi con scienza e coscienza.

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