In diciotto anni, da quando è al potere, Vladimir Putin si è sempre detto contrario ad una riforma delle pensioni. Oggi non più: con un ordine firmato dal primo ministro Dmitry Medvedev a metà dello scorso giugno, alla Duma di Stato è arrivato un disegno di legge per aumentare l’età in cui i russi possono smettere di lavorare.

Una riforma che il delfino di Putin definisce ‘graduale’ e che entrerà in vigore nel 2019: il progetto di legge prevede l’innalzamento dell’età pensionabile da 60 a 65 anni per gli uomini entro il 2028 e da 55 a 63 per le donne entro il 2034. Secondo il presidente della Duma di Stato Vyacheslav Volodin, la camera bassa del parlamento russo potrebbe esaminare il provvedimento prima della fine della prossima sessione primaverile, un provvedimento che cambia una situazione ferma al 1932. Tra le motivazioni, l’aumento dell’aspettativa di vita e l’incapacità di garantire una pensione a tutti i lavoratori in un Paese in cui il numero dei pensionati è in aumento: secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale nel 2016 l’età dell’aspettativa di vita in Russia è salita a 71,59 anni, in crescita dal 2005, contro gli 82,54 dell’Italia e i 77,28 dell’Europa e Asia Centrale.

Nonostante il divieto di manifestare per tutta la durata dei Mondiali nelle undici città che hanno ospitato la manifestazione calcistica, già il 1 luglio migliaia di persone erano scese in strada per protestare contro la decisione del governo. In quell’occasione le manifestazioni, organizzate soprattutto nelle aree orientali della Federazione da Omsk, Khabarovsk, Komsomolsk sull’Amur a Vladivostok, non avevano suscitato grande interesse della stampa nazionale ed internazionale, oscurate dai Mondiali di calcio andati in scena dal 14 giugno al 15 luglio.

Con un malcontento palpabile – secondo il centro di ricerche governativo Vtsiom l’indice di popolarità di Putin sarebbe calato da quota 50 dello scorso luglio 2017 a poco più di 37 del mese corrente – i russi sono nuovamente scesi in strada negli ultimi giorni di luglio, radunando manifestanti in cinquanta regioni del paese.

Secondo gli organizzatori, a Mosca sono stati circa 6mila a marciare pacificamente nella via Sakharova, 5mila a San Pietroburgo, otto mila a Ekaterinburg, oltre tre mila a Rostov sul Don, Vladivostok e Krasnodar. Archiviato l’entusiasmo ed interesse dei Mondiali, i diversi volti della piazza hanno visto manifestare normali cittadini accanto ad esponenti politici, compresi quelli del partito comunista e il leader di opposizione Alexey Navalny. Tra gli slogan, “La riforma è un genocidio” ma anche “Non sono per Putin né per Navalny, sono qui per le persone troppo pigre per uscire di casa e manifestare i propri diritti”.

In un clima tutt’altro che di vacanza, a dare garanzia della ricezione tempestiva delle pensioni, è stata la presidente della Camera alta del parlamento della Federazione Russa Valentina Matvienko in una conferenza stampa dello scorso 26 luglio, dichiarando che “lo Stato, in qualsiasi condizione, garantisce ai nostri cittadini il pagamento delle pensioni in conformità con la legge. E’ inammissibile il ripetersi della situazione degli anni ’90, quando non furono pagate le pensioni”.

Il governo promette inoltre di riformare anche la doppia indicizzazione delle pensioni affinché avvenga annualmente dal primo gennaio – attualmente sono previste per il primo febbraio al livello dell’inflazione e il primo aprile, tenendo invece conto dei redditi del Fondo pensionistico della Russia.

L’intervento dell’esecutivo dovrebbe avvenire nella fase di seconda lettura della riforma pensionistica; a dichiararlo nei giorni scorsi in una riunione della Commissione tripartita sulla regolamentazione delle relazioni sociali e di lavoro è stata la vicepremier russa per le questioni sociali Tatjana Golikova.

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