Da oggi, giovedì 5 luglio, sono passati dieci giorni da quando Cristina Cattafesta, attivista di 62 anni, è stata fermata dalle autorità turche. La donna si trovava a Batman, città petrolifera del Bakur, il Kurdistan turco, insieme a una delegazione del Cisda (Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane, ndr) come osservatrice internazionale per le elezioni presidenziali e parlamentari, vinte dal presidente Recep Tayyip Erdoğan al primo turno con più del 50% dei voti.

“L’attenzione è sempre più alta – dicono dalla Farnesina – ci stiamo adoperando perché venga espulsa nel più breve tempo possibile. Siamo in contatto con le autorità locali”. Cattafesta è stata coinvolta in un controllo delle forze dell’ordine il 24 giugno insieme ad altri attivisti, subito rilasciati. Una foto che la ritrae, durante un corteo, in mezzo a bandiere con le sigle del Pkk e delle Ypg (le milizie armate curde di sponda turca e siriana, considerate dal governo di Ankara gruppi terroristici) sarebbe alla base del fermo e, addirittura, in un primo momento, della possibile accusa, poi caduta, di propaganda terroristica.

Due giorni più tardi Cattafesta è stata trasferita a Gaziantep, sempre a Sud del Paese, in un centro di espulsione del dipartimento di immigrazione. A quel punto sembrava che il suo rimpatrio potesse essere imminente, eppure la donna è ancora bloccata in Turchia. “Ma noi non abbiamo mai fatto una stima sulle tempistiche del rilascio – precisano dalla Farnesina – in queste situazioni ci possono essere complicazioni che non dipendono da noi. Le autorità turche hanno deciso di fare alcuni approfondimenti“. Fonti informate hanno confermato al Fatto.it che le è stato sequestrato il cellulare, togliendole la possibilità di comunicare con l’esterno. Tuttavia la donna è assistita dall’avvocato del Consolato italiano, che va a trovarla regolarmente.

Pochi giorni fa la sua famiglia ha espresso grave preoccupazione per quello che sta succedendo, anche perché Cattafesta soffre di problemi di salute e ha la necessità di fare controlli e di sottoporsi a cure adeguate. “Non abbiamo informazioni certe sul suo rientro, né la possibilità di metterci in contatto con lei” dicono le sorelle Silvia e Carlotta, che hanno chiesto alla Farnesina e all’Ambasciata italiana, insieme all’avvocata Alessandra Ballerini, di fare il possibile per sbloccare la situazione.

Sono stati numerosi gli appelli per la liberazione di Cattafesta. Il Consiglio comunale di Milano ha votato all’unanimità un ordine del giorno con cui chiedere al sindaco, Giuseppe Sala, e al governo, di attivarsi per portare l’attivista in Italia. “Cattafesta è residente a Milano, per questo ci siamo mobilitati con grande convinzione – spiega il consigliere a Palazzo Marino, Basilio Rizzo, col quale Cattafesta si era candidata alle amministrative del 2016 – la vicenda è molto delicata, sappiamo che la Farnesina si sta impegnando attraverso le vie diplomatiche. Conosco Cristina da una vita, è sempre stata una militante seria, impegnata nel sociale. La stimo molto”.
Un appello, presentato da Michele Usuelli (+Europa) è stato firmato anche dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, insieme ai capigruppo in Pirellone (a esclusione di Viviana Beccalossi, ex Fratelli d’Italia e ora nel Gruppo misto).

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