È arrivata dopo una breve seduta della Corte di Appello di Cagliari la conferma della condanna a 30 anni per “Grazianeddu”. Così era conosciuto il 76enne Graziano Mesina, uno dei più famosi esponenti del banditismo sardo del dopoguerra, arrestato per l’ultima volta nel 2013 con le accuse di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga dall’Italia alla Sardegna, ma anche estorsioni e altri gravi reati. Una vita, quella di Mesina, segnata da una lunghissima serie di arresti e altrettante evasioni, ventidue in tutto, di cui dieci andate a buon fine.

La conferma della condanna a 30 anni spazza via la grazia concessa dal Presidente della Repubblica nel 2004 all’ex primula rossa, che dopo aver trascorso 40 anni dietro le sbarre era tornato a Orgostolo, il suo paese di nascita nel cuore della Barbagia, dove aveva iniziato a fare da guida turistica. Ma in poco tempo si era di nuovo avvicinato al mondo criminale tornando, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia sarda, ai vertici di due bande: una cagliaritana guidata dal boss Gigino Milia, l’altra con a capo lo stesso Mesina. Quasi tutti gli affiliati avevano scelto l’abbreviato, tranne Mesina, Gigino Milia, Vinicio Fois e l’avvocato Corrado Altea, il legale che secondo la Dda avrebbe fatto vari piaceri ad una delle bande, condannato a 16 anni.

“Se verrò condannato, sarò condannato da innocente“. L’ultimo appello di Mesina prima della sentenza è arrivato in videoconferenza dal carcere nuorese di Badu ‘e Carros dove è rinchiuso da cinque anni. “Droga? Mai toccata in vita mia – aveva detto in aula durante il processo di primo grado, terminato due anni fa con la condanna a 30 anni – mai nessuno può dire di avermi visto anche solo ubriaco. Se vedo la droga, neanche so che cosa sia”. E anche nel processo d’appello Mesina ha ripetuto di non aver mai avuto nulla a che fare con traffici illeciti. “Mi mantenevo con vari lavori – ha spiegato in aprile ai giudici di secondo grado – rilasciando interviste a pagamento. Facevo anche intermediazioni: mi sono occupato di un affare della figlia di Berlusconi vicino Olbia, perché un pastore che c’era da anni in quelle aree doveva essere sfrattato e sono stato contattato perché si mettessero d’accordo”.

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