Mettiamo il caso, come avrebbe dovuto esser logico la mattina del 5 marzo, il Pd si sdogani e si sciolga nell’abbraccio con Luigi Di Maio. Per un paio di ragioni. La sovrapposizione degli elettorati, a partire dagli iscritti Cgil che le inchieste post voto dimostrano essersi divisi equamente tra i due partiti, la seconda perché così si sbarra, almeno temporaneamente, la strada a Salvini facendo, certo da junior partner, ma questa è la volontà degli elettori, esattamente quello che ogni sopracciglioso commentatore liberal ha chiesto alla sinistra francese o a quella tedesca. Mettiamo il caso. Che succede? Succedono più o meno due cose.

Una positiva e una negativa, con una che esclude l’altra. Una: il Movimento 5 stelle feconda il Pd come accadde al Psi con la Dc. L’altra Il Pd soffoca i Cinquestelle come la Dc fece con con il Pci ed eredi di vario nome. Vivremmo, (vivremo?) una stagione come quella del primo centrosinistra di Nenni con i Cinquestelle che magari scoprono, come scoprì il vecchio socialista in basco, che nella stanza dei bottoni, i bottoni non ci sono.

Ma che portano a casa nel loro decennio tutte le riforme che hanno fatto di questo paese un paese civile: nazionalizzazione della energia elettrica, scuola media dell’obbligo, statuto dei lavoratori, divorzio. Una stagione talmente densa di passi avanti da non essere nemmeno colti, nella loro profondità, da chi li stava facendo, ma certo ben capiti da chi li ostacolava, dal generale De Lorenzo, fino ai bombaroli di stato del 1969. Oppure potrebbe finire con il lento stritolamento, con la resa battaglia dopo battaglia, dalla Fiat alla scala mobile, che la peggiore Dc, quella post morotea, con l’aiuto del geneticamente mutato Psi di Bettino Craxi seppe infliggere al Pci berlingueriano e poi, dopo, senza nemmeno più dover battagliare agli sbiaditi epigoni che ci hanno accompagnato fino a LeU.

I primi sintomi di come potrebbe andare a finire li avete avuti, come me sotto gli occhi. La dichiarazione Di Maio  dopo il primo giro al Quirinale e il terribile documento, il possibile contratto, fatto circolare dal leader pentastellato dopo l’esito della esplorazione tra le carte del professor Della Cananea. Dove non c’è quasi più niente delle tematiche del Movimento, anche di quelle sbagliate a mio giudizio, e tutto si riduce a un pastone di elementi nutritivi di scarto che mi ricorda le farine animali che facevano venire pazze le mucche. Un pastone assolutamente digeribile al Quirinale nella versione Emerita e Non, così come a Bruxelles o al comando Nato, a Francoforte o nei CDA di Mediaset o Monte Paschi, oltre che, ovviamente, tra i carneadi che hanno preso il posto di Renzi. Modestamente proviamo a ripeterlo a Di Maio e a chi può parlargli. Nenni, Giggino, Nenni.

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