Tutelarsi dal telemarketing selvaggio è un’impresa davvero ardua. Lo ha certificato il Garante della Privacy attaccando Vodafone che, senza consenso, utilizzava i dati personali dei clienti a scopo commerciale. Sulla scia di diverse segnalazioni e dopo 18 mesi di indagini, l’autorità guidata da Antonello Soro ha infatti appurato che “sono state effettuate nell’interesse di Vodafone fino a 2 milioni di telefonate promozionali e inviati circa 22 milioni di sms senza un valido consenso degli interessati”, come si legge in una nota del Garante. La pratica riguardava sia gli attuali clienti dell’operatore che quelli potenziali, coinvolgendo non solo chi non aveva dato il consenso, ma persino gli utenti che avevano “espressamente chiesto di non essere più disturbati o di veder cancellati i propri contatti dai database di Vodafone e dei call center coinvolti”, come precisa la nota.

A questo punto, dopo l’intervento del Garante, “Vodafone non potrà più inviare sms o effettuare chiamate per finalità di marketing a chi non abbia manifestato uno specifico consenso (…). La società telefonica dovrà inoltre ridefinire le proprie procedure interne nella gestione dei dati utilizzati per le campagne promozionali”, conclude il documento dell’autorità. Con questo provvedimento, il garante spezza una lancia in favore dei clienti che fanno sempre più fatica a difendersi dal telemarketing selvaggio in cui spopolano non solo gli operatori di telefonia, ma anche banche, sistemi di informazioni creditizie, gestori di siti web, assicurazioni e aziende che producono ogni sorta di bene o servizio.

Resta però il fatto che bloccare un marketing diretto e aggressivo è sempre più complicato. La legge italiana offre degli strumenti, ma si tratta di armi spuntate rispetto alla velocità con cui circolano i nostri dati. Ad ogni modo, per tutelarsi il Garante suggerisce di inviare una comunicazione formale (SCARICA QUI IL MODULO) al soggetto che ci contatta al telefono per offrire i suoi servizi. Con questa richiesta, cui va allegato un documento di identità, sarà possibile non solo sapere quali dati sono effettivamente in possesso dell’azienda, ma anche avere i dettagli su chi li ha forniti ed infine chiedere lo stop all’uso dei dati a finalità pubblicitarie. “All’istanza il titolare o il responsabile (se designato), anche per il tramite di un incaricato, deve fornire idoneo riscontro, senza ritardo e non oltre 15 giorni dal suo ricevimento”, spiega il sito del Garante. E’ possibile che il termine slitti a 30 giorni nel caso di indagini particolarmente complesse di cui comunque l’utente dovrà essere messo a conoscenza.

Trascorso invano il periodo indicato dalla legge, l’utente potrà rivolgersi all’autorità giudiziaria oppure direttamente al Garante. Ma il ricorso non sarà gratuito. Esistono infatti dei diritti di segreteria (150 euro) e le spese legate alla procedura che l’autorità potrà porre a carico, anche solo in parte della parte perdente. In ogni caso, il Garante non potrà esprimersi su un eventuale richiesta di risarcimento del danno. Se l’obiettivo è quindi lo stop allo sfruttamento dei dati a scopo commerciale, meglio forse affidarsi alle semplici segnalazioni all’autority (protocollo@pec.gpdp.it) che valuterà poi un eventuale intervento. Del resto è proprio quanto accaduto nel caso Vodafone.

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