Di Matteo Salvini, una volta, disse: “Parla come l’avventore del bar sport”. Un’altra volta, sempre dopo aver sentito il segretario della Lega, lo apostrofò così: “Il Le Pen versione italiana dice cose terrificanti”. Mentre la sacerdotessa renzian-berlusconiana, Barbara D’Urso, commentava gli attentati di Parigi, lui prese il telefono e twittò: “D’Urso sei inadeguata e insopportabile. Occupati di amori, canti, balli e pettegolezzi, non di problemi seri”. Mentre Forza Italia sprofondava nei sondaggi, nella primavera del 2015, dette una descrizione del partito che nessun dirigente del Pd si è mai azzardato: “Siamo divisi e litigiosi, siamo riconosciuti solo per i litigi, i peggiori di noi vanno in tv solo per dire stupidaggini: dalle intransigenze stile Brunetta alla melassa a cui appartengo…” e infatti per la parola “intransigenze” Brunetta si imbestialì oltremodo come sempre. “Brunetta non capisce le battute” la replica. “Io sono il più berlusconiano di tutti. Sto con lui da vent’anni, gli devo politicamente tutto”. Indipendente, ma leale. Devoto: trascinato dalla melassa a cui appartiene, Paolo Romani, 70 anni, monzese, per il suo partito è l’uomo giusto per salire su, su, dal seggio del Senato fino a quello più alto del palazzo.

La sua storia racconta di una sorta di prosecuzione di Berlusconi con altri mezzi. Le televisioni, i programmi con le signorine che a volte facevano intravedere e più spesso facevano vedere proprio, il carattere dell’uomo fatto da sé, la fama di donnaiolo, l’energia di saltare su una scialuppa di salvataggio al momento giusto mentre la barca affonda. Rispetto al capo, ha molta più eleganza, non si scontra mai in pubblico, ha sorrisi e deferenza per comunisti e grillini. Lo aiuta il fatto di essere zero istrionico: non si mette in evidenza, il tono della voce non ha sbalzi. Nella notte del disastro elettorale, mentre accanto a lui La Russa sgasava con il tosaerba, dava l’impressione di un giocatore al tavolo del bridge: “Vede, dottoressa Sala” (l’inviata), “Sa, dottor Vespa”. Non twitta per fare rissa con gli hater, ma per condividere notizie dall’estero, di giornali americani e inglesi, in particolare sul Medio-Oriente e sulla Siria.

Da liberale comincia come uno dei condottieri delle tv libere, appunto: arriva a Livorno con la mamma che si risposa con un costruttore di piccole barche (fonte Giancarlo Perna sulla Verità) e nel 1974 fonda TeleLivorno, la prima televisione della città, insieme a Marco Taradash, un’avventura ancora oggi ricordata con i contorni della leggenda dai protagonisti.

Ma è anche al fianco di Nichi Grauso per Videolina, di Alberto Peruzzo per Rete A dov’è direttore generale per quasi dieci anni e dove diventa famosa Wanna Marchi, di Salvatore Ligresti che lo chiama per fare l’amministratore delegato di TeleLombardia. Per una biografia ufficiale che girava sul sito del ministero e rimbalza ovunque sia ospite (come al Meeting di Rimini) in questo momento “è anche corrispondente di guerra, in particolare seguendo la rivoluzione rumena del 1989, la guerra dell’ex Jugoslavia ed i conflitti in Iran-Iraq“. Tra una bomba e l’altra, riesce a fare anche una televisione tutta sua, Lombardia 7. Gli va bene e non per le notizie dagli scenari di guerra. Il possibile sostituto di Mattarella in caso di impedimento del presidente ebbe l’intuizione di lanciare Vizi privati con Maurizia Paradiso mentre invece non ebbe a che fare (così dicono alcune verifiche) con Colpo Grosso. Wikipedia aiuta la memoria con un brano del libro di Giancarlo Dotto e Sandro Piccinini, Il Mucchio Selvaggio: “La Paradiso – scrivono – giocherà morbosetta con il pubblico maschile a casa, mentre delle pin-up si spogliano. Con la flessibilità che lo distingue, Romani tralascia il dibattito culturale e passa al puro svago per adulti, con implicazioni economiche interessanti, soprattutto per lui. ‘Ma la guardavano anche i bambini’ esagera ‘avevo bandito qualunque volgarità’. Proibiti doppi sensi e parolacce inutili, partono tra un gioco e l’altro della Maurizia filmati osé, senza penetrazioni visibili, abbinati ai numeri proibiti, 144 e 166, coi quali Romani incassava tra i 60 e i 70 milioni al mese. Ritmi da 1500 telefonate a notte. Intere famiglie sul lastrico. Un successo clamoroso“.

Ma breve. Nel 1994 Romani vende quasi tutte le quote “giusto in tempo per evitare l’onta del fallimento” come racconta Gianni Barbacetto sul Fatto. Ancora una volta il destino riflette la stessa luce di quello di Berlusconi che proprio quell’anno peraltro lo accoglie in Forza Italia. Qui inizia una storia intricata: in breve, Romani lascia la società di Lombardia 7 ma per 9 anni tiene la guida della concessionaria, Lombardia pubblicità. Dalle inchieste di tre Procure esce senza perdere un capello (è a lungo indagato per bancarotta senza conseguenze), ma alla fine deve comunque restituire 400mila euro come risarcimento al curatore fallimentare della tv ormai morente.

Come Berlusconi, ha anche una condanna definitiva. Il reato è peculato. La pena è un anno e 4 mesi ma sarà ricalcolata perché gli avvocati hanno chiesto ed ottenuto di concedere le attenuanti. Il fatto è questo: lasciò  alla figlia il cellulare che il Comune di Monza gli dette perché era assessore. Furono spesi 12800 euro di bollette tra il gennaio 2011 e il febbraio 2012 tra telefonate, messaggi, connessione internet. Contattato (su un altro telefonino) da ilfatto.it Romani spiegò che “per il lavoro che faccio ho quattro cellulari, può quindi capitare che a uno risponda la mia segretaria o qualcuno della mia famiglia. Quello del Comune lo lascio a Milano, per questo è capitato che rispondesse mia figlia, ma non gliel’ho certo dato in uso io”. E’ finito con un altro risarcimento dell’intera spesa, motivo per cui i legali chiedono uno sconticino.

Nel partito c’è sempre, ma sempre un passo indietro, come alle consultazioni al Quirinale, come sul palco del Teatro Manzoni per il comizio finale di Berlusconi. Si infila nella buca del suggeritore, più che nella livrea del servitore. Entra nel governo Berlusconi quarto da sottosegretario e ne esce – con lo spread – da ministro. E’ stato spesso accusato di agire per Palazzo Chigi nel senso di Cologno Monzese. Senza farla troppo tecnica e per dirne una sola delle tante: dopo aver messo molto del suo nella legge Gasparri, cercò per esempio di impedire a Sky di ottenere dall’Unione Europea una deroga per partecipare all’asta per le frequenze per il digitale. Tra l’altro “del tutto dimentico del suo passato di pornografo – scrivono Alessandro Gilioli e Arturo Di Corinto in I nemici della rete – arriverà a proporre l’istituzione di un sistema gestito dal ministero per avvisare i genitori via sms nel caso qualcuno in casa navighi in internet su siti a luci rosse”.

Fedele, leale: quando nel 2010 Berlusconi mollò a suo beneficio – dopo quasi 6 mesi – l’interim della delega allo Sviluppo Economico, lui attese un po’ prima di dimettersi da assessore all’Urbanistica a Monza. Alcuni da sinistra dissero che era perché doveva lasciare ben curata l’operazione che aveva guidato per anni, quella della Cascinazza, il terreno acquistato da Paolo Berlusconi reso edificabile per 420mila metri cubi nella variante al Pgt del centrodestra. L’operazione fallì, anche per colpa della Lega. E’ probabile che accada lo stesso per la sua promozione a vice di Mattarella.

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