Carlo Calenda, l’iperattivo ministro dello Sviluppo economico neotesserato Pd, twitta moltissimo. Il 4 marzo, il giorno campale, ha postato un video, accompagnato da un suo commento: “Comunque vada, siamo un Paese straordinario”.

Il video gioca sullo stereotipo anti-italiano per rovesciarlo: “Pizzaioli?”, e ti fa vedere che siamo grandi costruttori di infrastrutture; “Mammoni?”, e ti mostra un ragazzo sì accarezzato da una signora, ma con la didascalia che spiega che siamo grandi creatori di gioielli e che ne esportiamo in grande quantità; “Festaioli?”, e ti snocciola i dati sull’export del settore farmaceutico; e così via. Insomma, un giocare sui pregiudizi rovesciando lo stigma. Tuttavia, proprio nelle stesse ore, il Partito democratico, molti dei suoi dirigenti, così come una grande messe di commentatori, stanno analizzando il voto proprio alla luce dei più triti stereotipi. Si tratta di cliché che in questo caso non riguardano gli italiani in generale, ma i meridionali. Come è noto, infatti, al Sud il Movimento 5 Stelle ha fatto il pieno di voti, rendendo la cartina geografica delle elezioni tutta gialla da Roma in giù.

Qualcuno ha sovrapposto questa cartina a quella della disoccupazione, qualcun altro a quella del reddito (ma la cesura pare corrisponda anche a quella del referendum istituzionale tra monarchia e repubblica del ’46). Insomma, i Cinque Stelle avrebbero vinto al Sud – questo il messaggio esplicito o implicito – perché avrebbero promesso alla parte disagiata del Paese, ma pigra e votata all’assistenzialismo, il “reddito di cittadinanza”. Il Sud, avvezzo a farsi sovvenzionare, senza voglia di lavorare, avrebbe ceduto alle sirene dell’entrata sicura e senza sforzo, pagata dallo Stato pantalone e dunque – questo è il ragionamento – dal Nord operoso e spremuto dalle tasse.

Sembra dunque non inutile ricordare quanto questa lettura sia offensiva nei confronti del Meridione, quanto riproponga antichi stereotipi – Bixio scriveva a Cavour dicendogli che i napoletani sono “orientali”, capiscono solo la forza – basati su una forma di “mediterraneismo” che vuole il Sud come il luogo ctonio, irrazionale, indolente, lento. E peccato se i Cinque Stelle in realtà non hanno proposto un reddito di cittadinanza, che è una misura incondizionata e universale, ma una forma di aiuto alle fasce povere della popolazione a determinate condizioni. Lo stereotipo è più forte di ogni buon argomento. E ancora peccato se i partiti del clientelismo, delle fritture di pesce, dei portatori di voti con le orecchie, dei signori delle preferenze, non corrispondano – almeno per ora – all’identikit del Movimento.

La verità è che il Sud ha votato in massa Cinque Stelle per liberarsi di una classe dirigente del tutto inadeguata (che i meridionali stessi avevano scelto e coccolato, sia chiaro), che ha portato il Meridione a essere il fanalino di coda dell’intera Europa in tutti i settori. Il Cise, osservatorio elettorale della Luiss diretto da Roberto D’Alimonte, certifica un dato che dovrebbe far riflettere coloro che ripropongono una lettura che trasforma la Questione meridionale nella solita barzelletta: “una variabile che ritenevamo ormai irrilevante [sic] nella realtà politica italiana, la classe sociale, ha in realtà un effetto significativo sul voto, e in una direzione inaspettata [ri-sic]. Il risultato in sintesi: Il Pd è l’unico partito per cui si registrano effetti significativi della classe sociale sul voto, ma nella direzione inattesa di un suo confinamento nelle classi sociali più alte e con un reddito più alto. In sostanza il Pd del 2018 sarebbe diventato il partito delle élite”.

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