Da dimissioni virtuali a passo indietro reale. Il tentativo di Matteo Renzi di provare a gestire il post elezioni del Pd è durato 48 ore. Assediato dalle minoranze interne, scaricato da tutte le anime del partito, il segretario ha deciso di lasciare per davvero. Subito. E non, come annunciato lunedì scorso, dopo aver seguito in prima persona a delicata fase successiva alla batosta elettorale senza precedenti incassata il 4 marzo. Dopo due giorni di retroscena e di attacchi da ogni dove, l’ex Rottamatore ha gettato la spugna. L’ufficialità è arrivata in serata, con una nota diramata dal presidente dem Matteo Orfini, che – statuto alla mano – ha indicato tempi e modi dell’uscita di scena di colui che sarà ricordato come il segretario che ha portato il partito sotto quota 20%.

Due le tappe indicate da Orfini: assemblea e direzione, entrambe già convocate. “Matteo Renzi si è formalmente dimesso lunedì – ha scritto Orfini – Come da lui richiesto nella lettera di dimissioni, e come previsto dallo statuto, ho immediatamente annunciato la convocazione dell’assemblea nazionale per gli adempimenti conseguenti”. E ancora: “Contestualmente ho convocato la direzione nazionale che sarà aperta dalla relazione del vicesegretario Martina. Nella direzione – si legge nel comunicato – discuteremo le scelte politiche che il Pd dovrà assumere nelle prossime settimane”. “Continuare a discutere di un fatto ormai avvenuto (le dimissioni del segretario, ndr) come non vi fossero state non ha molto senso – ha aggiunto Orfini – Come non lo ha disquisire del percorso conseguente le dimissioni che è chiaramente definito dal nostro statuto e che non consente margini interpretativi né soluzioni creative“.

La traduzione dal politichese era arrivata poco prima grazie alle dichiarazioni del portavoce nazionale del Pd Matteo Richetti, che, ospite a Carta Bianca, ha annunciato cosa accadrà durante l’appuntamento della prossima settimana: “Con Veltroni e Bersani il percorso è stato lo stesso – ha detto il deputato di area renziana – Lunedì faremo una direzione che individuerà la reggenza del partito. Non so se ci sarà Renzi e se non ci sarà sarà la dimostrazione che ha fatto un passo indietro anche fisico”. Anche Richetti, poi, ha spiegato che le prossime mosse sono dettate dalle regole dello statuto, secondo cui “il vicesegretario del Pd ha un’investitura pari del segretario“. Quindi Maurizio Martina. Che a questo punto, a meno di sviluppi diversi, guiderà la delegazione del Pd al Colle per le consultazioni con il presidente della Repubblica. Con lui ci saranno i neo capigruppo dem di Camera e Senato.

Chi saranno? Le minoranze dem puntano su una gestione collegiale delle decisioni, quindi anche nella scelta di chi guiderà i gruppi a Montecitorio e Palazzo Madama. Anche in questo caso i retroscena si sprecano, come quello che vedrebbe Maria Elena Boschi in pole per una carica politica o istituzionale per volere dello stesso Matteo Renzi. Una ricostruzione, quest’ultima, smentita direttamente dalla diretta interessata con una nota ufficiale: “Sono costretta a ripetere ciò che ho detto ieri e nei giorni scorsi – ha detto l’ex sottosegretaria alla Presidenza del consiglio – Non sono interessata, né in pista, per ricoprire né il ruolo di capogruppo, né quello di vicepresidente della Camera. Prego cortesemente di non tirare in ballo il mio nome per ruoli cui non aspiro e che altri amici del Pd potranno egregiamente svolgere“. La Boschi si è tirata fuori, insomma, sgombrando il campo da ipotetiche ingerenze renziane nella scelta di ruoli chiave della prossima legislatura.

La strada che il Pd dovrà seguire, quindi, è segnata: lunedì il reggente, poi l’assemblea, che verosimilmente si terrà a fine aprile dopo le consultazioni di Mattarella. Sarà l’occasione giusta per eleggere il nuovo segretario? Potrebbe esserlo, lo è già stato: nel 2009 con le elezione di Franceschini dopo le dimissioni di Veltroni, nel 2013 con l’elezione di Epifani dopo le dimissioni di Bersani. All’interno del partito, però, c’è chi preferisce l’altra opzione in campo, ovvero le primarie nei gazebo. “Ci sono due strade: una che torna a dare la voce al popolo del Pd oppure l’assemblea, che è legittimata a eleggerlo” ha spiegato Matteo Richetti, secondo cui è da preferire sicuramente la prima opzione.

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