Voterei se qualcuno mi desse l’idea di voler davvero cambiare la nostra società. Non voterò perché nessuna forza politica esprime valori e principi di rinnovamento, partendo dall’alto, da una visione differente.

La nostra coesistenza tra persone diverse, in Italia, Paese del Mediterraneo, è minata alle fondamenta da un crescente egoismo sociale, conseguenza prima di un modello competitivo, basato sull’egemonia del denaro, dello sfruttamento delle risorse, dello scempio della nostra casa comune del mare e della terraferma, dall’assenza di ruolo della cultura e della spiritualità. E nessuno sta pensando come rifondare la nostra convivenza sociale su basi diverse, che neghino la competizione, che limitino ogni tentazione di sfruttamento e di sopraffazione, che impongano argini al predominio dei più ricchi, dei più furbi e di chi ha meno ritegno. Basi nuove, tutte orientate a interrompere la catena di volgarizzazione, progressiva ignoranza, incipiente violenza in cui ormai viviamo immersi considerandola una deriva inevitabile. Basi diverse, per una politica che si assuma la responsabilità diretta della comunicazione simbolica, su tutti i media e soprattutto sulla televisione, che offre esclusivamente miti a cui tendere attraverso il solo denaro, il solo potere, dunque solo arraffando più di prima, di più rispetto all’altro. Basi migliori, che ridispongano in ambito pubblico ogni regolamentazione, ogni gestione delle risorse, impedendo episodi emblematici e gravi come quattro aziende di sfruttatori che si accordano e frodano milioni di italiani cambiando data alle bollette mensili telefoniche. Non ho sentito una voce indignata, sul tema, di alcuno dei politici in lizza per il 4 marzo. Mentre avrei dovuto, dato il valore simbolico della frode: una truffa che scaturisce da un modo di vivere, di fare impresa, di concepire i clienti, di vedere la società, di “pensare”.

Non voterò perché non c’è alcun movimento politico di idee e di proposte che chiama in causa l’individuo, cioè ognuno di noi, come portatore non di diritti, ma di doveri. In una società nuova su ogni individuo che poi, dopo, possa accedere a dei diritti, grava la responsabilità del pensiero, proprio e individuale, dello studio, dell’approfondimento, dell’ascolto, del servizio. Occorre prendere atto che nella società sono quasi scomparsi gli individui normali, che non urlano invocando i loro diritti e che tralasciano bellamente di ammettere che eludono i loro doveri di persone. Occorre mettere un freno all’idea che chiunque possa aprire bocca e darle fiato anche se non sa, anche se non ha la minima idea di ciò di cui parla, anche se non ha né arte né parte, anche se inquina, anche se molesta, anche se consuma compulsivamente risorse, anche se picchia la moglie, anche se sfrutta sul lavoro, anche se per vivere produce prodotti nocivi, o anche solo inquinanti, o anche solo inutili.

Per votare con convinta speranza, il 4 marzo ci vorrebbero candidati che hanno coraggio. Il coraggio di mettere in discussione il suffragio universale, ad esempio, il coraggio di collegare il diritto di voto a un qualche criterio minimo di cittadinanza fondato sul rispetto di alcune regole e di alcuni comportamenti minimi sufficienti. È giusto che i pregiudicati votino, ad esempio? È giusto che i pregiudicati si candidino? È giusto che chi si rotola nella peggiore ignoranza (per scelta, nonostante abbia avuto con la scuola dell’obbligo lo stesso altrui diritto alla cultura) abbia lo stesso potere elettorale di chi si è impegnato e ancora si sforza di acquisire informazioni, conoscenze quanto basta per saper scegliere e poter essere dunque utile agli altri nell’esercizio della sua cittadinanza? È giusto che il 4 marzo io vada a votare nello stesso modo e con gli stessi diritti di chi parteggia per il pazzo che a Macerata ha sparato su decine di persone? Non basterebbe una professione simile di idiozia a “congelare”, almeno per una tornata, ogni diritto collegato al vivere comune, come il voto, come la partecipazione a concorsi pubblici, o l’assunzione di ruoli nella pubblica amministrazione? Domande troppo cruciali e incidenti per poter essere liquidate da qualche populista alla ricerca del facile applauso da parte di coloro hanno paura delle risposte.

Ed è giusto che nessuna forza politica si assuma l’onere di come capovolgere il destino di una società sempre più triste, sempre più angosciata, schiava del lavoro, che rincorre vanamente la sopravvivenza economica oppure la ricchezza, a seconda delle fortune, senza riuscire diventare serena in alcun modo? È normale che si dia per assunto che l’unico modo per vivere è lavorare, lavorare, lavorare, produrre, consumare, e ringraziare pure di poter fare soltanto questo per sempre, per tutta la vita, mentre il tempo di ognuno di noi se ne va e non tornerà mai più? Mentre le risorse per lavorare tutti il giusto ci sarebbero, e basterebbe ispirarsi a un altro modello civile per metterle in azione? È normale che nessun politico paia indignato da questo destino inevitabile, e anzi, lo si ritenga sacrosanto?

Questa visione non c’è. Questa politica non c’è. Per questo il 4 marzo non andrò a votare.

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