Il 9 febbraio le Forze armate egiziane hanno annunciato l’avvio della campagna militare denominata “Sinai 2018 per colpire le basi dei gruppi armati e i loro depositi di armi nel nord della penisola.

Quello stesso giorno, sul profilo Twitter del portavoce dell’esercito è stato pubblicato un video in cui si vedono dei soldati caricare bombe a grappolo sugli aerei da combattimento. Le immagini lasciano intendere che l’Egitto abbia intenzione di usarle, e chissà che non le abbia già usate in passato.

Le bombe a grappolo sono armi inerentemente indiscriminate che infliggono sofferenze inimmaginabili per anni dopo il loro uso. Per questo sono vietate dal diritto internazionale, in particolare dalla Convenzione sulle munizioni a grappolo, che il governo del Cairo non ha peraltro sottoscritto.

Secondo gli esperti di armi consultati da Amnesty International, le bombe a grappolo del video sono le CBU-87 Combined effects weapons, di produzione statunitense, ognuna delle quali contiene sub-munizioni 202 BLU-92/B.

Gli Usa sono i principali fornitori di armi all’Egitto sin dagli anni Settanta. Amnesty International ha documentato molti casi in cui le forze di sicurezza egiziane hanno usato forniture made in Usa, tra cui aerei da combattimento F16, veicoli blindati e carri armati, per compiere o facilitare gravi violazioni dei diritti umani. L’aeronautica egiziana si è già resa responsabile di attacchi illegali, anche quando ha usato armi di maggiore precisione.

Nel 2015, sempre nel Sinai, jet F16 bombardarono una zona fittamente popolata della penisola uccidendo e ferendo diverse decine di persone, bambini inclusi. Lo stesso anno altri attacchi aerei in Libia distrussero abitazioni private uccidendo molti civili.

Infine, nel settembre 2015 un altro attacco aereo nel Sinai uccise dodici persone tra cui otto turisti messicani. Nonostante le proteste del Messico, nessun militare egiziano è stato chiamato a risponderne.

Dal 2013 la popolazione dei Sinai sopporta le conseguenze delle numerose operazioni di sicurezza contro i gruppi armati, a loro volta responsabili di attacchi contro i soldati ma anche contro i civili, compresi membri di minoranze religiose. Da allora i morti sono stati centinaia.

Il governo egiziano sfrutta il conflitto in Sinai come pretesto per violare i diritti umani e imporre la censura. Dal 2013, il nord della penisola è off-limits per giornalisti e gruppi di monitoraggio. Amnesty International ha ricevuto numerose denunce di sparizioni forzate, arresti arbitrari ed esecuzioni extragiudiziali e ha documentato demolizioni e sgomberi forzati di intere famiglie senza un risarcimento o la messa a disposizione di alloggi alternativi.

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