Il buio in fondo al tunnel è ciò che si vede all’orizzonte da quando abbiamo iniziato a valutare cosa farà Diletta dopo la scuola superiore. Il panorama che ci è offerto è piuttosto triste.

Il centro diurno: sette ore circa da lunedì al sabato di presunte attività. Mi assalgono migliaia di dubbi. Ad esempio mi chiedo come si possa intrattenere una ragazza per così tante ore. Mia figlia, come tante persone con gravi disabilità motorie, dopo massimo tre ore deve sdraiarsi nel suo letto. Mi domando anche come possano esserle fornite così tante attività su un rapporto che certo non può essere uno a uno.

Poi la domandona vera che sorge è quella che riguarda i tempi e gli obblighi. Nessuno si preoccupa di ritagliare servizi ad personam sulle reali esigenze. Il pacchetto è fisso. Vige il principio di prendere o lasciare.

Attenzione poi, perché naturalmente se si frequenta il diurno l’assistenza domiciliare non vale più, salvo ricorso in giudizio. E naturalmente nessuna via di mezzo. La legge ci chiede di collocare la persona con disabilità dentro una cornice di un solo e unico servizio.

Per lo Stato, l’evidenza dei fatti dimostra che i nostri figli sono pesi e sono costi. Quindi dobbiamo ringraziare che qualcuno li tenga a prescindere dalle loro volontà, necessità, eccetera. Io sono davvero molto arrabbiata. Non riesco ad adattarmi a certe logiche.

Il centro diurno è un luogo che raggruppa persone con diverse disabilità, età, esigenze e caratteristiche.

E’ finanziato per questo. Voglio evitare di addentrarmi negli esempi negativi e concentrarmi sugli esempi migliori, dove si lavora bene. Mi impegno ad essere ottimista e mi metto nella condizione di una persona con disabilità grave che è uguale a sé stessa. Mi metto lì e osservo e tento di trovare un obiettivo. Tutti abbiamo bisogno di una motivazione e di sapere cosa proveremo a fare dopo.

Abbandono il centro diurno perché non realizza la voglia di Diletta di creare bigiotteria e dipingere. Non soddisfa il suo essere animale sociale che ama conoscere e incontrare. Non realizza il suo elevato senso del pudore per il quale ogni necessità privata si assolve in casa sua e nel suo intimo spazio.

Diletta non avrà il diploma di qualifica. Perché detesto con ogni mia cellula prendere in giro mia figlia e la sua intelligenza. Mia figlia è consapevole dei suoi limiti e ha il pieno diritto di essere rispettata e valorizzata per ciò che è e per come è e non per come gli altri la vorrebbero vedere: piatta e uguale a chiunque, con un diploma in tasca vinto con sentenza.

Mi rifiuto di insultarla. E non approvo i genitori che trovano la loro soddisfazione nel diploma a tutti i costi come se fosse un sigillo di identità. E’ una vergogna che un Paese civile debba avere bisogno di un foglio scritto sulla base di cavilli e di incertezze, o avallato da commissioni stanche e demotivate per offrire una chance a un figlio.

Per molti, troppi, andare all’Università significa stare con gli altri, avere il trasporto, il professore e l’assistenza e anche la riabilitazione in alcuni casi.

Quindi se io non voglio studiare, o se oggettivamente non sono in grado perché ho un limite sarebbe opportuno ricordare che per fortuna tutti ne abbiamo! E voglio dedicarmi a qualcosa d’altro che esprima davvero le mie potenzialità , mi arrangio. Nessun progetto attivo.

Lo Stato mi dice: “Caro mio, o ti adegui e con una bella sentenza ti acchiappi il diritto allo studio nella pubblica università o ti rassegni al diurno. Puoi anche stare a casa purché tu la smetta di infastidire oltre questo malsano mondo!

Però, che bel successo questa inclusione. Cosa vorrebbe Diletta? L’impossibile. Degna figlia di sua madre, non conosce le vie di mezzo. Mia figlia in realtà vorrebbe un piccolo negozio/laboratorio dove insieme a un operatore e ad altri lavoranti possa creare e vendere. Le piacerebbe anche offrire un po’ di cioccolata a chi entra e perdonatemi se scrivo qualcosa che possa sembrare un po’ stonato ma sto semplicemente riferendo il desiderio vero di una ragazza buttata fuori dalla società per colpa di chi a suo tempo sbagliò a fare il suo mestiere.

E come Diletta, conosco decine di genitori e di ragazzi di varie età che conservano in un cassetto sogni bellissimi che nessuno aiuta a realizzare. Diletta non è sola, Diletta è uno dei tanti giovani pieni di sogni che vivono in uno Stato che non accoglie i giovani senza problemi fisici e mentali, figuriamoci quelli disabili. Gli uni fuggono e si reinventano, i più fragili sono soppressi dai finanziamenti mal gestiti , mal dirottati e aggrovigliati sulle onde del momento.

Si può accettare una condizione del genere?

La storia non cambia in estate: soggiorni, periodi, tutti pacchetti ad alta intensità. Poi se una persona vuole fare un corso di poesia, di pittura, di cucito, o di qualsiasi altra cosa semplicemente perché ha bisogno di questo, le viene negato.

Non sarebbe ora che tutte le scuole e tutti i corsi fossero obbligati per legge ad accettare tutti i disabili accompagnati? Ovvio che non possono sobbarcarsi altri oneri, ma se una persona volesse assistere ad un corso accompagnata dal proprio famigliare o operatore, perché no? Invece il NO è scontato.

Siamo a quasi vent’anni di vita da mamma di ragazza disabile e davvero mi rendo sempre più conto di quante storture, di quante gestioni assurde e sbagliate, di quanti danni si sommano ai problemi oggettivi. Ma ho promesso a Diletta che noi la strada la troveremo. Noi partiamo da qui, con la determinazione che ci piega, ci fa barcollare, piangere e gridare ma anche con tanta energia e tantissimo ottimismo. Sappiamo di non essere sole e sappiamo che tutti insieme costruiremo un futuro civile.

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