#ilcontastorie

In attesa di “Diverso da chi?” e dei suoi piccanti argomenti – donne, sesso, amore e disabilità -, vi racconterò un’altra storia: dopo la vicenda di “Uomini e donne” di Maria de Filippi e della mia conseguente illuminazione, oggi scopriremo come arrivai a una considerazione sulla mia persona. Percorrevo contromano a bordo della mia sedia elettrica decapottabile il viale principale della mia città: corso Milano a Monza.

Lo so, qualcuno di voi si chiederà: ma non può viaggiare sul marciapiede? La risposta è no, perché volevo evitare il perfido porfido (o pavet) e perché le discese dei vari marciapiedi sono troppo ripide e ognuna di esse non arriva a livello del manto stradale, ha un piccolo gradino. Simpatiche, eh? Però vi chiedo di non dir nulla al mio amico Peba – Piano Eliminazione delle Barriere Architettoniche -, il piano che dal 1989 tutte le città italiane dovrebbero adottare, perché altrimenti lui si arrabbia…

Torniamo alla mia monoposto. Sono sul ciglio della strada allorché vedo arrivare proprio davanti a me un camioncino: noto subito che l’autista volge il suo sguardo altrove, non sta guardando la strada. Allora il terrore comincia a serpeggiare in me – “aiuto, mi sta centrando” – e inizio a tremare dalla paura: l’aspetto positivo è che almeno mi stavo muovendo, evvai!

Passano due secondi e niente, mi sento spacciato: parte così il film della mia vita, ma arrivato ai 5 anni fortunatamente l’autista mi nota e io sono sano e salvo (più salvo che sano). Percorro altri 5 metri e una considerazione personale mi gela il sangue, perché realizzo che dai 5 anni a oggi nulla è cambiato: sfrutto gli altri per prendere in giro il prossimo, se mi dicono di non fare qualcosa è un invito a nozze a farlo, faccio ricadere la colpa sugli altri, ma non sfrutto più il mio visino angelico, solo la mia condizione strappalacrime…

The end

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