Consenso, privilegio, revocabilità e libertà: sono le parole chiave del poliamore, termine che il correttore automatico – frutto non sempre perfetto di linguaggio, cultura e società – si rifiuta di riconoscere, ma che è semplicemente realtà per tanti. 

In Italia l’associazione R.ETI. da due anni promuove le relazioni etiche non monogamiche. Oltre agli attivisti (circa un centinaio) sono molte le persone che si sono avvicinate nel tempo a questa realtà. Incontri, assemblee, aperitivi nazionali e territoriali dove poliamorosi e policuriosi ridefiniscono la monogamia a tutti i costi e i concetti di gelosia, di tradimento, di consapevolezza

R.ETI. è nata anche dall’esperienza e per iniziativa delle persone che gestiscono poliamore.org, uno dei primi siti sul tema in Italia, nato nel 2010. “Sono uno di quelli che hanno un po’ fatto partire il movimento qui in Italia”, spiega Luca, attivista di lungo corso. “Mi sentivo poliamoroso, avevo letto cose in America ma in Italia mancavano persone cui confrontarsi. Abbiamo iniziato a organizzare incontri, e da lì sono cominciate anche le prime relazioni. All’inizio, nel 2012, la persona più poliamorosa che conoscevo era a Bologna: c’erano molte relazioni a distanza, si cercavano persone affini ma era difficile trovarle. Piano piano sono cominciate a comparire più persone”. 

“Sono arrivato al poliamore facendo danni”, dice ancora Dario. “Come sempre, d’altronde”, aggiunge sorridendo. “A scuola non ci viene data un’educazione sessuale, relazionale e sentimentale. E veniamo lasciati a improvvisare”. “Il primo poliamoroso che ho incontrato mi ha consigliato di andarci piano”, dice Valentina – il nome è di fantasia – un’altra fondatrice di R.ETI. “La trasparenza è fondamentale. E consenso vuol dire non solo ottenere un sì, ma mantenere attenzione e cura costante verso l’altra persona”. “Consenso non è solo negoziazione: è anche se non soprattutto privilegio”, spiega ancora Dario: “Quando faccio corsi di formazione, se chiedo a un mio alunno o a una mia alunna “sei d’accordo con me?”, la risposta sarà probabilmente affermativa ma quella persona non mi sta dicendo davvero sì… non siamo in una relazione paritaria”. 

In una società “in cui le donne, soprattutto, vivono imbavagliate, un sì non è necessariamente un sì”, aggiunge Dario. E lo stesso dicasi per degli uomini”. “Faccio fatica ad avere a che fare con un uomo che non abbia questa idea di consenso: revocabile, ascoltato e supportato” dice ancora Valentina. “Se esco con un uomo che mi dice ‘andiamo a prendere il caffè’ e poi ha altre intenzioni, non è una molestia ma mi sento in qualche modo fregata. L’idea che devi fregare una donna per portarla a letto è legata al concetto, radicato in uomini e donne, di donna che non può dire sì, che non ha piacere a incontrare un uomo”.

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