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Aemilia, arrestato Carmine Sarcone: “Reggeva la cosca emiliana”. Per i pentiti era “la bella faccia della famiglia”

Fratello di Nicolino e Gianluigi, il primo condannato a 15 anni di reclusione con rito abbreviato e il secondo in attesa della sentenza nell'ambito del maxi processo in corso in questi mesi a Reggio Emilia. I carabinieri di Modena su ordine della Dda di Bologna hanno prelevato il 39enne nell’appartamento della suocera a Cutro
Aemilia, arrestato Carmine Sarcone: “Reggeva la cosca emiliana”. Per i pentiti era “la bella faccia della famiglia”
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Lo hanno arrestato nella notte a Cutro ed è il terzo dei quattro fratelli Sarcone residenti a Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, a finire in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. E’ Carmine Sarcone, 39 anni, accusato di essere il reggente a piede libero della cosca collegata alla famiglia Grande Aracri della quale suo fratello Nicolino era il capo indiscusso a Reggio. Almeno fino alla notte del 28 gennaio 2015, quando la più grande operazione contro la ‘ndrangheta nella storia del paese diede il via al maxi processo Aemilia con 117 arresti. A Nicolino sono stati confermati nell’appello del rito abbreviato 15 anni di reclusione mentre l’altro fratello in carcere è Gianluigi, che attende la sentenza del rito ordinario in solitudine, dopo aver chiesto ed ottenuto a fine 2017 di essere separato dagli altri detenuti con i quali condivideva le celle della casa circondariale.

A prelevare Carmine Sarcone nell’appartamento della suocera hanno provveduto nelle prime ore di martedì 23 gennaio i Carabinieri coordinati dal Comando di Modena, su ordine della Direzione Antimafia di Bologna; l’arresto rientra in una operazione di vasta scala che coinvolge anche i Carabineri di Piacenza e di Crotone. Sono state in particolare compiute decine di perquisizioni in diverse province del nord e del sud alla ricerca di armi. Le indagini sono coordinate dal Procuratore Distrettuale di Bologna Giuseppe Amato e dai due Pubblici Ministeri del processo Aemilia, Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, che hanno raccolto le testimonianze dei collaboratori di giustizia Antonio Valerio e Salvatore Muto da cui prende avvio l’operazione. Due fiumi in piena, Valerio e Muto, a proposito dei quattro fratelli Sarcone, tutti ritenuti uomini di ‘ndrangheta senza fare distinzioni tra chi era in galera e chi no.

Dice Valerio negli interrogatori del 30 giugno e dell’8 settembre: “Carmine è alla pari dei fratelli, anche se è quello più piccolo. E’ la faccia, diciamo, bella della famiglia. Mentre Gianluigi è quella intelligente. Peppe (il quarto fratello, tuttora libero) è il topo, quello che va ad indagare, d’avamposto, mentre Nicolino è la testa criminale della famiglia. Anche se Carmine non è da meno, perché so poi che partecipò giù a Cutro all’omicidio Dragone come vedetta”. Poi precisa: “Ha partecipato nel 2004 all’omicidio di Dragone e di Ciampà. Fece da staffetta in quegli omicidi lì”.

Un’altra pesante accusa ai due fratelli in libertà la lancia Salvatore Muto riferendo le cose che gli diceva il capo di Cremona e Piacenza Francesco Lamanna. L’interrogatorio è quello dell’11 ottobre: “Sapevo che Giuseppe Sarcone (detto Peppe) era già affiliato dai vecchi tempi e Carmine Sarcone era stato affiliato all’epoca della operazione Scacco Matto. Lamanna dice che il più intelligente era Carmine, che è uno che quando parla sa parlare e si sa spiegare. Parla poco, ma quelle poche parole che dice, le dice giuste. Lui è stato l’ago della bilancia dei Sarcone, perché dal momento che sono stati arrestati sia Nicolino che Gianluigi, c’erano i fatti criminosi, rapine, truffe, spaccio, che se ne occupava Carmine. Lui gestiva e ha tenuto vive le conoscenze; ha fatto valere il suo cognome a Reggio Emilia. Perché non è che i Sarcone erano arrestati e nessuno comandava della famiglia Sarcone. Loro svolgevano l’attività normalmente. E questo l’ha fatto Carmine Sarcone”. Basterebbero queste parole, che fanno riferimento anche agli anni meno recenti dell’inchiesta Edilpiovra, quando Nicolino finì in galera, a giustificare il binocolo puntato dalla direzione Antimafia verso Carmine.

Ma Antonio Valerio dei quattro fratelli Sarcone torna a parlare diverse volte sia nelle deposizioni ai pm che in aula, dipingendoli come un gruppo assolutamente compatto, che incuteva timore e reverenza, nel quale ognuno rappresentava la famiglia al di là delle specifiche attitudini. Non una famiglia qualsiasi; la più importante a Reggio Emilia, come precisa il 6 settembre: “I fratelli Sarcone hanno il comando su Reggio Emilia a livello ‘ndranghetistico, e sotto l’aspetto criminale sono un tutt’uno. Viene un casalese, viene chi so io, si deve rivolgere a Nicolino.” Rivolgersi in questo caso significa riconoscere il potere di controllo della famiglia sul territorio.

“Tutti e quattro?” chiede il Pubblico Ministero Beatrice Ronchi. “Tutti e quattro” risponde Valerio “e assieme a loro c’era il Diletto (Alfonso, già condannato nel rito abbreviato) che ricopriva la parte della Bassa reggiana e di Parma”. Aggiunge ancora Valerio che sono i quattro fratelli Sarcone senza distinzione ad avere “…come dire, egemonia. Ad avere ‘sta nomea che quando si presentavano erano loro, e giustamente sulle persone creavano simpatia, creavano massa, creavano sudditanza, creavano di tutto e di più: cioè tutto quello che può creare una persona autoritaria e autorevole. Loro questa forza qua la trasmettevano agli altri, la facevano percepire e la percepivano. E chi collaborava con loro sapeva con chi aveva a che fare. E cosa doveva fare”.

Di questo gruppo di famiglia autorevole e coeso Carmine Sarcone è il più giovane e per Valerio “fa parte di quella ‘ndrangheta più evoluta, più elettronica, più tecnologica” dei giorni nostri. Lui non ha fatto parte del primo periodo e della stagione di sangue del ’92 quando i fratelli erano già attivi, ma nel “2000 ha cominciato ad entrarci dentro in modo più diretto nelle cose, nella ‘ndrangheta. Carmine non è ladro come Peppe, è più… fighettino, più delicato nelle cose, più sofisticato… Però l’usura se la faceva. E come!”.

Le indagini disposte dopo queste testimonianze hanno dimostrato “la gestione diretta dell’attività e del patrimonio illecito” da parte di Carmine Sarcone e la partecipazione alle riunioni tra gli esponenti della consorteria durante le quali, secondo gli inquirenti, erano pianificati i crimini della cosca e venivano prese le decisioni per mantenerla e rafforzarla. Carmine avrebbe inoltre avuto il ruolo di rappresentante dei fratelli detenuti, con compiti direttivi, e il compito di dirimere i contrasti interni alla struttura. Sono emersi anche “continui scambi di informazioni” tra esponenti detenuti e in libertà, attraverso colloqui in carcere con i parenti. Infine le indagini hanno permesso di raccogliere elementi indiziari sempre contro Carmine Sarcone sui tentativi di indottrinare e minacciare alcuni testimoni del processo Aemilia.

Tre membri su quattro della famiglia di ‘ndrangheta che comandava con base a Bibbiano, culla del parmigiano reggiano, il cui sindaco Andrea Carletti è stato il primo in provincia a costituirsi parte civile, sono ora dietro le sbarre. Ai primi di febbraio inizierà la requisitoria finale dell’accusa ma le indagini di Aemilia, pare di capire, non finiscono qui.

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