Il dibattito sulle deroghe che permetteranno ai “big” di candidarsi in Parlamento infiamma in queste ore il Partito democratico, specialmente a Roma. Dopo aver superato il vincolo dell’articolo 21, comma 3, dello statuto dem per premier, ministri e vecchi segretari, il Nazareno ora deve studiare un modo per arginare il comma 6 dello stesso articolo, ovvero quello che prevede “l’incompatibilità tra il ruolo di parlamentare nazionale e la carica di consigliere comunale nei comuni con più di 15.000 abitanti”. Da un anno e mezzo, stanno di fatto violando questa norma sia Roberto Giachetti a Roma, sia Valeria Valente a Napoli, candidati sindaci sconfitti nel 2016 e dunque, dal giugno di due anni fa, entrambi deputati della Repubblica e consiglieri comunali nelle rispettive Assise, fra il fastidio dei rispettivi partiti cittadini. Collezionando fra l’altro – come nel caso dell’ex esponente radicale – poche presenze in Assemblea rispetto ai propri colleghi e quasi nessuna nelle commissioni in cui sono stati nominati.

In particolare, è verso la posizione di Giachetti –  renziano di ferro – che si è concentrato il grosso del fuoco amico. Siede, infatti, ininterrottamente in Parlamento dal 2001, dunque da 17 anni e ben 4 legislature, mentre l’articolo 21 dello Statuto prevede che non sia ricandidabile “chi ha ricoperto detta carica per la durata di tre mandati”. Lo scorso 17 gennaio, durante l’ultima direzione nazionale, è arrivata all’attenzione del presidente Matteo Orfini una proposta di ordine del giorno in cui si prevede l’impegno per il partito affinché “a coloro che ricoprono attualmente incarichi elettivi o esecutivi in amministrazioni regionali, provinciali e/o comuni sopra i 15.000 abitanti e che hanno già superato i 15 anni effettivi in Parlamento, non venga concessa la deroga per ricandidarsi un’ulteriore volta” e affinché “nei casi eccezionali in cui la deroga è richiesta per valutazioni politiche della direzione, i richiedenti rinuncino immediatamente all’incarico elettivo attualmente ricoperto così da non violare gli obblighi e le incompatibilità previste dallo statuto”. Tradotto: chi risponde a questi requisiti, o rinuncia alla deroga o dice subito addio alla poltrona nel suo ente locale. Ancora più in sintesi: niente paracadute.

Il documento appare un esplicito riferimento al caso Giachetti – Valente sta concludendo la sua prima legislatura – il quale, come spiegano fonti interne al Pd, sarebbe deciso a proseguire con il doppio incarico, sebbene questo gli impedisca di seguire in maniera intensa i lavori consiliari. Tuttavia, l’eventuale approvazione dell’odg potrebbe coinvolgere anche Piero Fassino, oggi consigliere comunale a Torino, che ha già ottenuto la sua deroga come “padre fondatore” e sarebbe dunque costretto a lasciare sin d’ora Palazzo Civico. La proposta non è stata ancora discussa, ma la tensione è palpabile. Al posto di Giachetti, fra le altre cose, entrerebbe in Assemblea Capitolina Giovanni Zannola, esponente gentiloniano fra i maggiori oppositori alla candidatura di Andrea Casu a segretario romano.

Un debutto in Aula Giulio Cesare per il 34enne esponente di Ostia che tuttavia potrebbe concretizzarsi con la probabile elezione al Consiglio regionale del Lazio di Michela Di Biase, attuale capogruppo dem in Campidoglio. Anche qui, c’è un “però”. Le due cariche, infatti, come insegna il caso di Francesco Storace fra il 2010 e il 2013, non sono affatto incompatibili (seppur entrambe gravose) e potrebbero vedere la leader della corrente franceschiniana sdoppiarsi fra Pisana e Palazzo Senatorio. “Lo statuto del Pd mi pare chiaro, non credo ci sia bisogno di ribadire qualcosa che è già previsto”, dice a ilfattoquotidiano.it il segretario regionale del Lazio, Fabio Melilli, a proposito della bozza di odg presentata in direzione nazionale. Il segretario laziale, che domani terrà la direzione regionale proprio sul tema delle candidature, però avverte: “I problemi di incompatibilità si porranno all’indomani delle elezioni”. Dunque, tutti col paracadute in barba allo statuto? Il dibattito prosegue.

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