Doveva essere una delle grandi novità per rilanciare la ricerca di base: 45 milioni di euro per 15mila finanziamenti a ricercatori e professori associati dell’università italiana. Un anno dopo, le borse di studio sono diventate appena 9mila: oltre il 35% si è perso per strada, per colpa di un bando scritto male che prevedeva un tetto massimo di assegnatari, a prescindere dal numero effettivo dei partecipanti. Così circa 6mila domande sono state bocciate, nonostante in teoria ci fossero altri 5mila posti da assegnare.

IL FFABR NELL’ULTIMA MANOVRA – A fine 2016 il governo Renzi-Gentiloni (il provvedimento fu pensato dal primo, ma approvato in via definitiva dal secondo) istituì nella Legge di Bilancio il nuovo Fondo per il finanziamento delle attività base di ricerca (anche noto con l’impronunciabile acronimo Ffabr): 45 milioni in più da spendere su progetti di vario ambito, una misura che avrebbe dovuto aiutare gli atenei del nostro Paese, alle prese con una cronica mancanza di risorse. Non tutti furono proprio entusiasti della notizia: il fondo fu bollato come l’ennesimo “bonus” da parte di Renzi al mondo dell’istruzione, c’è chi (come la Fisv, Federazione Italiana Scienze della Vita) parlò persino di “paghetta per i ricercatori”. Ed in effetti sono solo 250 euro al mese, non proprio una fortuna. Ma si trattava pur sempre di una buona opportunità per incrementare i pochi fondi a disposizione per la ricerca. Il progetto ci ha messo un po’ a carburare, generando notevoli aspettative persino al Ministero, se è vero che a inizio anno la ministra Valeria Fedeli (appena arrivata al posto di Stefania Giannini) lo inseriva all’interno delle linee programmatiche del suo mandato. Dodici mesi dopo, possiamo dire che il Ffabr è stato un fallimento.

MANCANO PIÙ DI 5MILA VINCITORI – L’Anvur, la controversa Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca a cui era stato affidato il compito di selezionare le liste dei meritevoli, negli scorsi giorni ha pubblicato l’esito del suo lavoro. Scorrendo gli elenchi degli assegnatari, però, si fa una amara scoperta: i vincitori non sono 15mila, come ci si aspettava e come prevedeva esplicitamente il bando da 45 milioni di euro, ma molti di meno. Per la precisione, 9.446, di cui 7.124 ricercatori e 2.342 professori associati, le due categorie a cui era rivolto il finanziamento. Viene da pensare, in un primo momento, che gli svogliati accademici italiani non si siano neppure degnati di inviare la propria candidatura alla grande occasione che gli era stata concessa dal governo. Ma non è così: le domande, fa sapere l’Anvur, sono state 17.308, comunque più del numero dei posti messi a disposizione.

I CRITERI VOLUTI DAL GOVERNO – Cosa è andato storto, allora? Molto semplice: il bando. I paletti fissati dall’esecutivo, di fatto, rendevano praticamente impossibile l’assegnazione di tutte le borse. Il governo ha voluto che ci fossero dei criteri di selezione, in nome probabilmente dell’ideologia meritocratica che tanto stava a cuore a Renzi. Però invece di prevedere delle semplici graduatorie, con la vittoria di tutti quelli in posizione utile, magari persino con un punteggio minimo da superare come qualsiasi concorso che si rispetti, ha voluto introdurre una percentuale massima di assegnatari: poteva ricevere il finanziamento soltanto il 75% dei ricercatori e il 25% dei professori associati candidati. Un tetto troppo selettivo, specie il secondo, da cui deriva il flop.

Per far sì che ci fossero 15mila vincitori con questi criteri, avrebbero dovuto presentarsi praticamente tutti i ricercatori e professori associati d’Italia. Cosa che ovviamente non è avvenuta, com’era logico che fosse. Un po’ perché il bando prevedeva anche delle cause di esclusione: aver ricevuto altri finanziamenti, essere a tempo determinato o in aspettativa. Un po’ perché poi il Ffabr non era certo la svolta della vita, con i suoi miseri 3mila euro a testa. Togliamo i ricercatori precari (ce ne sono circa 4.500 in Italia), gli accademici già impegnati su altri fronti, o magari semplicemente non interessati, ed ecco che la platea dei partecipanti si riduce fisiologicamente. Alla fine hanno partecipato in 17mila, il 48% dei ricercatori, il 45% degli associati: praticamente uno su due degli accademici italiani, una risposta anche positiva per la prima edizione del bando. Ma insufficiente ad assegnare tutte le borse, visti gli assurdi paletti voluti dal governo: mancano all’appello 5.554 finanziamenti. Ed è andata pure bene che l’alto numero di parimerito in graduatoria abbia fatto sforare leggermente le soglie del 75% e del 25% (sono state esattamente del 77,8% e del 28,7%), altrimenti sarebbero stati pure di più.

LA RICERCA PERDE 16 MILIONI – Il risultato è che dei 45 milioni di euro già stanziati, soltanto 28,4 verranno utilizzati per la ricerca nei prossimi mesi. L’unica consolazione è che gli altri 16,6 almeno non verranno persi del tutto: come previsto da un successivo decreto ministeriale emanato ad agosto dal Miur (che forse aveva subodorato il rischio fallimento), finiranno nel Fondo di finanziamento ordinario delle università italiane (il famoso Ffo), ripartiti tra i vari atenei in base alla loro quota di spettanza. Una redistribuzione a pioggia, insomma, all’interno di un grande calderone che per altro non finanzia solo i progetti di ricerca ma anche tutte le altre varie spese (costi di funzionamento e del personale compresi) delle nostre facoltà. Quanto alla ricerca, pazienza: sarà per il prossimo bonus.

Twitter: @lVendemiale

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