La normativa europea non fu “correttamente” recepita, nonostante “non prevedesse in tal senso né derogheproroghe“. Eppure l’applicazione del decreto legislativo con il quale l’Italia si adeguava alle norme imposte dall’Unione europea “è di fatto avvenuta dopo circa nove anni, successivamente all’incidente ferroviario”. Se tutto fosse andato secondo i tempi previsti, la “corretta implementazione” del quadro normativo “avrebbe messo Ferrotramviaria” nelle condizioni “di dover adottare un sistema di gestione della sicurezza”.

“Mancata applicazione è la causa a monte”
Invece tutto quel percorso è avvenuto – anche in maniera rapida – solo dopo che il 12 luglio 2016 due treni si scontrarono frontalmente nel tratto Andria-Corato, provocando 23 morti e 50 feriti. Un disastro che ha come “causa a monte”, è scritto nero su bianco, proprio la lentezza con cui l’Italia si è messa al passo con le regole imposte da Bruxelles. È una delle conclusioni alle quali è giunta la Digifema, l’organismo del ministero dei Trasporti che si occupa delle investigazioni sugli incidenti ferroviari e marittimi, confermando la ricostruzione fatta da ilfattoquotidiano.it nel primo anniversario della strage. La presentazione dell’indagine ministeriale – quella penale della procura di Trani dovrebbe chiudersi nelle prossime settimane – alle parti in causa si è tenuta negli scorsi giorni e quello relativo allo scorretto recepimento della direttiva europea è uno dei passaggi fondamentali per comprendere in quale humus è maturata la tragedia a causa dell’uso del blocco telefonico e degli errori umani. Per un motivo molto semplice: se l’Italia avesse rispettato i tempi, i treni di Ferrotramviaria non avrebbe potuto viaggiare in quel modo nel giorno della tragedia.

L’anticipazione del Fatto.it
Cosa prevedeva la normativa, come l’Italia l’abbia applicata solo a metà per nove anni e si sia messa al passo in pochi mesi subito dopo lo scontro in provincia di Bari, lo aveva spiegato Ilfatto.it nello scorso luglio
: la linea pugliese – come un’altra ventina di altre reti regionali interconnesse con quella nazionale – avrebbe dovuto adeguarsi entro il 2011 alle regole europee recepite dall’Italia con un decreto legislativo del 2007. Per ottenere quei “certificati di sicurezza”, però, servivano investimenti. Ma i soldi mancavano. E allora si è proseguito così: la rete Rfi – quella dove viaggiano i vettori di Trenitalia – è stata attrezzata e dotata delle migliori tecnologie che impediscono nella pratica che vi sia uno scontro perché in caso di errore la marcia del treno si arresta automaticamente. Standard di sicurezza alti e regole stringenti sotto l’occhio vigile dell’Ansf, l’Agenzia nazionale per la Sicurezza ferroviariaMentre le reti locali hanno continuato a seguire le norme dell’Ustif, ente periferico del ministero dei Trasporti, che aveva maglie meno stringenti. Per questo, Ferrotramviaria poteva viaggiare affidandosi solo ai dispacci telefonici tra i capostazione come sistema di controllo del traffico.

Dopo l’incidente, applicazione rapida
Il decreto legislativo del 2007 con il quale l’Italia ha recepito la direttiva europea, però, prevedeva all’articolo 27 che le ferrovie in concessione potessero “continuare ad operare” con le vecchie norme perché l’applicazione del decreto era “posticipata di tre anni, per permettere l’unificazione degli standard di sicurezza, dei regolamenti e delle procedure per il rilascio del certificato di sicurezza”. Già quella “postilla”, secondo la Digifema, non rientrava nella “corretta applicazione” delle norme Ue. L’Italia è comunque andata oltre, congelando gli interventi fino all’incidente sulla Andria-Corato. Poi l’accelerazione improvvisa: il decreto che portava le ferrovie locali sotto la giurisdizione Ansf è stato firmato il 10 agosto 2016, il passaggio è effettivamente avvenuto il 30 settembre con la limitazione di velocità imposta a chi non rispetta gli standard di sicurezza dell’Agenzia e il Cipe ha stanziato nel dicembre 2016 i primi 300 milioni per i lavori d’adeguamento che interesseranno alcuni tratti lombardi e pugliesi. Nel frattempo, Ansf ha stoppato il “lungo periodo di immobilismo” delle concessionarie dando il via all’iter perché le ferrovie che lavorano in concessione si adeguino alle norme europee. Con ormai dieci e più anni di ritardo.

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