“La faccia della criminalità che vive nei piani alti e nei salotti buoni delle città, con abiti eleganti e quei grandi mezzi dalla capacità attrattiva immensa, non certo emarginata come i ladri di strada, con la differenza però fornita dal dato economico che disvela le vere capacità criminali“. E poi: “Una sorta di autostrada dell’impunità e della sottrazione di denaro e beni ad ogni controllo e tassazione, sia per le organizzazioni criminale che per le evasioni fiscali eccellenti“. Ma anche il “riconoscimento, sia pur lento, della abissale differenza, per entità di guadagni e gravità di effetti economici, tra una criminalità di strada (pur grave e pericolosa), spesso con proventi irrisori e sprogorzionati ai rischi, e criminalità economica“.

Sono le parole messe nero su bianco dal giudice per le indagini preliminari di Messina, Salvatore Mastroeni.  Giudizi pesantissimi su quella che è una delle famiglie più note e potenti della città ma anche dell’intera Sicilia: quella dei Genovese. È un sequestro multimilionario – si parla addirittura di beni pari a cento milioni di euro – quello che ha colpito Francantonio Genovese, primo segretario del Pd in Sicilia, ora deputato di Forza Italia. Era già stato condannato in primo grado per associazione per delinquere, truffa, riciclaggio, frode fiscale, peculato perché con enti controllati da lui e dai suoi familiari ha truffato la Regione siciliana. Per questo motivo è accusato di aver sottratto al fisco 20 milioni di euro. “Resta oggettivo – scrive dunque il gip – che rubare allo Stato circa 20 milioni di euro è, con ogni distinguo che si voglia fare, molto più grave del prendere di notte, sulla pubblica via, un’autoradio o un motorino, pur condotte che in flagranza portano quasi automaticamente al carcere e rendono soggetti miserabili e non da frequentare, delinquenti”.

Un’inchiesta su una dinastia lunga 3 generazioni – Il decreto di sequestro, chiesto dal procuratore di Messina Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Sebastiano Ardita, infatti, ricostruisce la storia non ufficiale della dinasty dei Genovese: quella criminale, seppur dal punto di vista degli inquirenti e in fase d’indagine preliminare. “È la singolare storia di questo procedimento, che vede operare una dinastia, con tre generazioni implicate, di cui il primo indagabile (teorico) è Luigi Genovese senior, in realtà deceduto ed il fatto sarebbe prescritto, e con un ramo collaterale ancora più nobile, avendo riguardo a soggetto più volte deputato alla Camera e Ministro”, annota il giudice nel provvedimento. Che parte dal padre di Francantonio – Luigi senior, senatore della Dc dal 1972 al 1994 – e che arriva al figlio del politico passato dal Pd a Forza Italia. Per la prima volta nel registro degli indagati, infatti, è finito anche il giovane Luigi Genovese, 21 anni, studente di Giurisprudenza appena eletto all’Assemblea regionale siciliana con più di 17mila voti nelle file di Forza Italia. È l’ultimo rampollo della famiglia, che ha appena ricevuto il seggio a Palazzo dei Normani in eredità dallo zio Franco Rinaldi,  per volere del padre Francantonio.

Luigi, l’ultimo rampollo – Ma non solo. Perché per gli inquirenti Genovese junior ha ricevuto in dote anche altro:  denaro, parecchio denaro che il padre con “recentissime operazioni illecite, spericolate se non grottesche” vuole “salvare dall’aggressione“. “E così dal nulla si staglia la figura di Genovese Luigi junior, che diventa consapevolmente, firmando atti e partecipando alle manovre del padre, ricchissimo – si legge nelle carte dell’inchiesta – La circostanza della ricchezza improvvisa del genovese Luigi, il suo notorio ingresso in politica, il modo spregiudicato di acquisizione della ricchezza, danno la probabilità, sia pur per la visione cautelare di protezione dei beni e dei soldi dovuti allo Stato, che si verifichi la stessa attività del padre”. E dunque l’ipotesi del giudice è che il giovanissimo Genovese sia l’ultimo tassello di un puzzle che nel decreto di sequestro è descritto così:  “Il quadro è univoco circa 20 milioni di euro sottratti allo Stato e oggetto di riciclaggi ed evasioni sistematiche, conti offshore, ruoli parlamentari, mezzi ed introiti enormi, e peraltro, ciò, effettuato con indifferenza già agli obblighi di un cittadino e nei confronti di uno Stato, e correlativamente di cittadini lesi dall’evasione fiscale”.

L’indagine nata a Milano – L’inchiesta sul tesoro dei Genovese non comincia a Messina, ma molto più a nord: a Milano: “Il dato di base, che scopre un reato e che, per continuare ad evadere le tasse, ne innesca una serie impressionante e continua, è un atto di indagine che parte da Milano, dalla Guardia di Finanza di quella città che indagava su una filiale di una banca svizzera e da cui emergeranno i conti svizzeri di ricchi italiani”. Alcuni mesi fa alle autorità elvetiche era stato chiesto di svelare i nomi dei circa diecimila clienti italiani che avevano polizze assicurative considerate sospette. Tra quei nomi era dunque spuntato anche quello di Francantonio Genovese, quel conto in Svizzera viene definito dal giudice come la “madre” di tutti gli illeciti. “Quel conto svizzero che non costituirà, per la famiglia Genovese, solo un tesoro immenso ma anche, come spesso succede col denaro, la scelta di campo di delinquere, senza poi più fermarsi, per proteggere sempre di più una ricchezza smisurata ma illegale”.

L’assicurazione alla Credit Suisse: “Soldi non sono noccioline” – “Appare evidente – si legge sempre nel provvedimento – che attraverso la sottoscrizione a proprio nome della polizza emessa formalmente da Credit Suisse (Bermuda) Ltd, con sede nelle isole Bermuda versando un premio di € 16.337.341,00. l’avvocato Genovese Francantonio abbia di fatto riciclato i proventi derivanti da reati fiscali perpetrati dal padre”. Quei soldi, infatti, sarebbero stati depositate in Svizzera dal padre di Francantonio. “Sul punto, su quella somma enorme esportata all’estero, evadendo il fisco (neanche una teorica emergenza di produzione o donativi dall’estero su estero per detto soggetto), vanno fatte una serie di considerazione. Risibile è la dichiarazione che fa Genovese Francantonio, che la esportazione avviene quando ha un anno e non ne sa molto. Innanzitutto i soldi, a differenza delle noccioline, sono cosi tanti e di cosi tanto valore, che non si potrebbe pensare mai, almeno da una certa età, che vi sia stata una detenzione inconsapevole, e se tutto inizia con Genovese Luigi senior, il reato prosegue e tanti ne derivare e fanno capo al figlio, con moglie e figlio e parenti”.

“Il padre non guadagnava tanto” – Durante l’inchiesta che lo ha visto imputato, Genovese senior si è trovato più volte a dovere spiegare da dove arrivassero le sue fortune economiche: spesso senza convincere i giudici. Nel verbale di interrogatorio del data 14 aprile 2015, Genovese ha dichiarato, e ammesso, che: “Le somme investite le ho ricevute da un conto corrente di mio padre (si tratta di somme che sia mio padre e forse anche mia madre detenevano all’estero), la cui accensione risale agli anni ’70. Già su punto la puntuale indagine della procura, con consulenza tecnica, ha accertato che il padre dell’avvocato Genovese Francantonio, Luigi, non risultava avere redditi tali da spiegare il “tesoro” all’estero. A fronte di una capacità reddituale media per anno (convertita in euro) di 117.034,00, avrebbe accumulato la somma di € 16 milioni in modo esterno ad ogni legale acquisizione, fondando il giudizio che tali somme siano state oggetto e frutto di evasione fiscale”. Un particolare lega Luigi Genovese senior a Francantonio: padre e figlio hanno sempre più denaro rispetto a quanto guadagnano. “Sulla base di quanto accertato dalla Guardia di Finanza di Milano, Genovese Francantonio ha sottoscritto, nel giugno del 2005, un prodotto finanziario (contratto assicurativo) con la società Credit Suisse Life. Il prodotto finanziario in questione è, palesemente, finalizzato ad occultare capitali all’estero e consente di sfuggire anche alla tassazione sugli interessi maturati sui depositi di capitali detenuti in Svizzera.  Si tratta di un investimento – non dichiarato al fisco italiano – non compatibile con il volume d’affari ed il reddito conseguito e dichiarato da Genovese Francantonio sino all’anno 2005. Cioè si procede nell’attività delittuosa del padre e con modalità analoghe”.

“Quei soldi ereditati da mio padre”. Ma era ancora vivo – Diventa addirittura surreale la giustificazione fornita da Genovese quando nel 2013 trasferisce nel “principato di Monaco a partire dall’anno 2013, fondi di importo consistente (per l’ammontare complessivo di 10 milioni di euro) su un conto esistente presso un intermediario monegasco, la banca Julius Bar, e intestato alla società panamense Palmarich Investments“. Secondo le indagini degli inquirenti in quel caso Genovese e la moglie Chiara Schirò avevano giustificato quegli accrediti, affermando che si trattava di fondi provenienti “da una eredità a seguito della morte del padre, Signor Luigi Genovese (testualmente dalle carte: “Portion of the inheritance received by Mr Genovese following the death of his father Mr Luigi Genovese”)”. Solo che il giudice fa notare come “all’epoca dei fatti “il padre di Francantonio Genovese “risultava essere ancora in vita“. “Questo dichiarare morto il padre vivo è uno dei tantissimi escamotage cui quel “tesoro” ha costretto il Genovese, e che giudicherà lui stesso, al condizionale eventuale, come fatto che sarebbe altamente spiacevole”.

Il ritorno in Italia: “Gli spalloni, trucco da Alì Babà” – Ricostruita nell’indagine è anche la fase in cui Genovese prova a recuperare quel denaro: secondo l’accusa lo fa tramite spalloni, cioè persone che trasportano personalmente il denaro alla frontiera. “Discorso plasticamente lesivo della dignità del ruolo ma spia della capacità di movimenti illeciti, è farsi portare miliardi in contanti dalla Svizzera da spalloni, riceverli in alberghi, di nascosto, scambiando parole convenzionali, una sorte di apriti sesamo che ricorda la favola di Ali Babà e i 40 ladroni”. Poi comincia una “impressionante attività di dismissioni, avvalendosi appunto di figli e nipoti. Qui Genovese Francantonio si va spogliando di tutto, talvolta con trucchi banali, talvolta con una serie di sotterfugi, anche geniali, in un contesto complessivo, che sorretto dalla evidenza del fine e del metodo, non dà alcun dubbio su gesti effettivi e reali di mera liberalità. Al riguardo, come detto, la liberalità non è prospettabile visto che ogni atto viene fatto apparire, magari faticosamente, ma oneroso per i beneficiari (curiosamente a Genovese Luigi passa un patrimonio enorme, con operazioni finanziarie, prestiti e sostanziali “pagherò)”. È l’ultimo atto della dynasty. Per adesso.

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