Doveva essere il giorno di Giuliano Pisapia e invece a parlare chiaro, nonostante il ruolo istituzionale, è stata Laura Boldrini. La presidente della Camera per la prima volta “scende” al livello del dibattito sul centrosinistra, peraltro negli stessi giorni in cui lo fa il collega del Senato Piero Grasso (e nella stessa area politica). Tutti si aspettavano che l’ex sindaco di Milano, all’assemblea di Campo Progressista, sciogliesse finalmente qualche nodo: col Pd o con la sinistra? E invece Pisapia non ha sciolto niente nemmeno questa volta, rimanendo con Dario Franceschini l’unico a credere nell’alleanza larga, molto larga, larghissima. “Non vogliamo un’altra Sicilia – dice l’ex sindaco – non possiamo non fare di tutto per unire, nella discontinuità, per unire il centrosinistra“. Ma è la Boldrini ad infiammare la platea che le tributa molti applausi. Così com’è successo a Grasso qualche giorno fa in un’altra occasione. E’ come se i presidenti delle Camere fossero diventati i propulsori di un cambio di passo di una coalizione, il centrosinistra, ormai ridotta in briciole.

“Compito dei progressisti è ridare senso alla nostra comunità: tutti per tutti, insieme” dice la presidente della Camera, accolta da una standing ovation. Resta da capire se tra i “progressisti” intesi come li intende la Boldrini c’è anche la dirigenza Pd in stile Renzi. “Condivido le parole della presidente Boldrini dalla prima all’ultima: il suo intervento rappresenta l’agenda per il futuro” è il vaticinio di Roberto Speranza, tornato vicino a Pisapia dopo la lite a distanza di un po’ di tempo fa. La Boldrini parla di tasse per i più ricchi, di mancanza di provvedimenti per un “lavoro vero”, di inutili bonus a pioggia, di “progressisti“. E dice quello che Pisapia non dice: “Di fronte a tante espressioni di indisponibilità credo che non ci siano più le condizioni per un’alleanza con il Pd. E io dico, purtroppo. Non sono contenta di questo”. Più precisamente: “Campo Progressista ha cercato un dialogo costruttivo con il Pd. L’obiettivo non era un’alleanza purché sia. Non basta mettere un simbolo accanto a un altro simbolo. E non basta neanche fare le alleanze contro, per non far vincere qualcun altro”. Una frase quasi liberatoria per il centrosinistra, spesso accusato di essersi unito solo per battere Berlusconi (e ora per battere Berlusconi e anche i Cinquestelle). Ma anche una frase che azzera l’ottimismo un po’ forzato che si sente in giro. 

Anche da Pisapia: “Qualcuno dice che l’unità è una missione impossibile? No, sino all’ultimo giorno, dobbiamo provare”. Sembra la fotocopia del ministro della Cultura che nel Pd è il più grande sponsor presso Renzi per ricostruire la vecchia coalizione. “Molti segnali positivi di una volontà di ricomporre il centrosinistra negli interventi di @lauraboldrini @giulianopisapia e @robersperanza. Restano distanze e differenze ma è possibile lavorare su ciò che ci unisce e abbiamo tutti il dovere di provarci”. O lo stesso dice Walter Veltroni all’ennesimo appello all’unità in funzione anti-populismo. “C’è il rischio in questo processo di messa in discussione della democrazia in Europa – ha detto l’ex segretario del Pd a In Mezz’ora, su Rai3 – che la sinistra si divida, spacchi il capello in quattro e ci si odi gli uni con gli altri. Se c’è un momento in cui la sinistra avrebbe il dovere di comporre le diversità è in questo momento. Fare ora una campagna elettorale in polemica è aprire un’autostrada alla destra. Sono divisioni irresponsabili in questo momento storico”. Idem Pisapia, e così il cerchio si chiude: “Lo dico al Pd: l’idea dell’autosufficienza è un suicidio politico: non possiamo lasciare il Paese alla destra”.

Eppure nella sua area Pisapia sembra l’ultimo giapponese. Nella sua area di sinistra, ma perfino nel suo movimento. Ciccio Ferrara, suo braccio destro in Parlamento, ex vendoliano, la dice chiara, per esempio: “Non abbiamo avuto, mai proprio mai, un ascolto dal Pd. Mi ha dato fastidio che in questi due giorni abbiamo avuto tanta corte nel fermarci. Dov’erano quando Giuliano Pisapia chiedeva di aprire un campo largo? Perché non hanno ascoltato il nostro appello a cambiare la riforma elettorale?. Ora forse è troppo tardi, ma speriamo di no”. Il riferimento, forse, è alla presunta trattativa che oggi alcuni giornali raccontano esserci tra Pd e i partiti alla sua sinistra. Trattativa che Pierluigi Bersani ha smentito (e quindi c’è da capire con chi tratta il Pd).

Ma Ferrara, Pisapia e anche la Boldrini parlano anche di quanto è il deleterio il voto “contro” nel senso opposto, quello del fuoco “quasi amico”. “Diciamo no a una ridotta minoritaria che non ce la fa a cambiare il Paese” dice l’ex sindaco. Nei partitini di sinistra, rivendica Ferrara che di partitini di sinistra ne ha visti tanti, “abbiamo anche fatto cose giuste, battaglie che hanno dato voce a chi non ce l’aveva, ma non bisogna essere sempre contro, anche per, fare cose e dare prospettive al Paese. Non mi piace prendere voti per far perdere altri”. Un concetto più sfumato nell’intervento della presidente della Camera: “Le divisioni non aiutano perché, in un momento come questo, per chi ha idee affini sarebbe imperativo stare assieme. Dobbiamo dare risposte a chi non si sente rappresentato e non va a votare”. Ancora: resta da capire se quel pezzo di società comprende anche il Pd renziano. Per questo Roberto Speranza, dallo stesso palco della Boldrini, è quasi provocatorio: “Al Pd dico: non dovete trattare con noi” ma “con un popolo che ha smesso di crederci: dovete recuperare le migliaia di insegnanti, i lavoratori sfruttati, gli ambientalisti umiliati dal ‘ciaone‘ delle trivelle. Se lo capite noi ci siamo. Ma io penso che non ce la faranno”.

Lo crede anche Lucio Malan, senatore di Forza Italia, berlusconiano purissimo che infatti si presenta all’assemblea di Campo Progressista per godersi lo spettacolo. “Siccome Franceschini ha esortato il centrosinistra a seguire le orme del Cavaliere nel creare una coalizione vincente, sono qui per verificare se in effetti sono in grado di seguirne l’esempio. Visto che di quello che ha fatto Silvio Berlusconi un po’ me ne intendo, vediamo se sono altrettanto bravi ed efficaci”. Sorride e il motivo si capisce da sé.

Una strada, secondo Veltroni, c’è. E è quella dei contenuti: “La prima cosa che mi piacerebbe sentir dire da Renzi è che prima della fine della legislatura si portino a conclusione lo ius culturae e il biotestamento. Questo sarebbe già un segnale di apertura molto importante, insieme alla ricerca di politiche sociali ed economiche innovative di lotta alla precarietà e alla povertà”. Dalla direzione del Pd in programma domani arriveranno le risposte.

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