Traversare, uno fra decine di migliaia, il Sud dell’Inghilterra, da Cardiff, nel Galles, a Londra, via Bristol, o Swindon, nella notte in cui i terroristi jihadisti tornano a colpire nella capitale britannica, facendo almeno sette vittime e decine di feriti in episodi a catena correlati. Le notizie di quanto sta avvenendo, è appena avvenuto, arrivano anche nello stadio della finale della Coppa dei Campioni: inizialmente confuse, un furgone assassino, attacchi all’arma bianca, molti morti, terroristi uccisi, stazioni della metropolitana chiuse.

La gente si prepara a un viaggio di ritorno da incubo: controlli, disagi, ritardi, “chissà quando arriveremo”. Chi con l’orgoglio della vittoria in Coppa, chi con il groppo della sconfitta in gola, ciascuno elabora la prospettiva e la accetta: Brexit o non Brexit, questa è la nostra Europa oggi.

Funziona tutto perfettamente: treni e pullman sono in perfetto orario; le code d’accesso organizzate e gestite; i poliziotti e gli addetti alla sicurezza, presenti ovunque, efficienti e mai bruschi. All’una di notte a Cardiff, alle tre e mezza del mattino a Reading, a sud-est di Londra, quando già albeggia, alle cinque all’aeroporto di Heathrow, ovunque gli schermi informano degli sviluppi di quanto accaduto: immagini e testimonianze dal Ponte di Londra e dal rione degli accoltellamenti, la conta delle vittime che sale.

La gente del posto, chi è al lavoro, chi ci va, è informata: per la terza volta in poco più di due mesi, la seconda in meno di due settimane, dopo il raid sul ponte di Westminster e il tentativo d’irruzione nella sede del Parlamento, dopo la strage delle ragazzine al concerto di Manchester, la Gran Bretagna è sotto attacco. E reagisce con la stessa ostinata silenziosa determinazione dei londinesi al tempo della battaglia d’Inghilterra, sotto le bombe e i razzi nazisti.

Com’è già stato in Francia, come potrà essere in Germania, l’obiettivo sono forse anche le elezioni: la campagna per il voto di giovedì 8 si ferma il tempo d’una domenica di raccoglimento, da domani riprenderà; e, questa sera, la gente di Manchester e di tutta l’Inghilterra sarà allo Old Trafford, stadio tempio, per il concerto in memoria delle vittime del 22 maggio, e, quando tornerà a casa, troverà i suoi treni e i suoi bus ben organizzati e in perfetto orario.

Lasciamo altrove considerazioni sul grado di preparazione militare dei terroristi di Londra, rispetto ad altre ‘scene del crimine’ jihadiste europee. Lasciamo altrove valutazioni se siano cellule isolate, quando non cani sciolti, o se vi sia un coordinamento fra di loro e un ordito tra le loro azioni. Lasciamo altrove farneticazioni sulla chiusura delle frontiere, quando gli assassini nascono e crescono fra di noi.

Fermiamoci alla riflessione che l’obiettivo sono sicuramente società inclusive e diverse, dove ciascuno rispetta i diritti altrui e osserva i doveri propri. Se questo è il conflitto, l’autista musulmano del pullman notturno, l’addetta inglese ai controlli aeroportuali, il tifoso –madridista o juventino – che raccoglie e restituisce al turista giapponese un portafoglio smarrito nella sala d’attesa ferroviaria sono tutti combattenti, in una notte di terrore a Londra. E non stanno rintanati in trincea, vanno tutti in prima linea.

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